Mps, Mediaset e Generali. Ormai l’ho detto e scritto fino alla nausea, ma il tema è troppo importante per indulgere: dopo aver combinato un pasticcio epocale su Mps, permettendo così a Bce e Ue di poter mettere i bastoni tra le ruote al salvataggio di Rocca Salimbeni, ora stiamo attenti a non giocare un’altra partita pericolosa su Mediaset. In soldoni, non si metta in correlazione la tenuta del governo Gentiloni con la difesa del Biscione, in un tacito do ut des tra Gentiloni e il Cavaliere, perché il rischio è quello di ritrovarsi i francesi in grado di fare scacco matto sull’obiettivo che davvero anelano, ovvero la scalata a Generali da parte di Axa.
Dico questo perché ieri nella sua conferenza stampa di fine anno, il primo ministro ha dichiarato che «il governo è vigile sulla scalata di Vivendi a Mediaset, ma non eserciterà il potere speciale della golden power. L’attenzione vigile del governo consiste nel fatto che siamo consapevoli dell’importanza di quel gruppo privato in Italia e che quel gruppo privato opera in un settore particolarmente rilevante». Tuttavia, poi, ha precisato che «non ci sono golden power da esercitare, semmai ci potrebbero essere in settori legati alla sicurezza nazionale che hanno a che fare con le telecomunicazioni», chiaro riferimento a Telecom Italia di cui Vivendi detiene il 24%. Comunque, se la posizione del governo su Mediaset è vigile dal punto di vista politico ma questo non significa che attiverà strumenti di intervento, «esistono in Italia strutture e autorità indipendenti che, se lo riterranno, potranno intervenire», come l’Agcom (l’articolo 43 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici consente all’Agcom di annullare un’eventuale opa di Vivendi su Cologno Monzese).
È poco. Troppo poco. E, ripeto, non vorrei fosse strategia politica più che pacatezza diplomatica, virtù quest’ultima che non mi pare il caso di usare con un raider spregiudicato come Bollorè o con un governo, quello di Parigi, da sempre complice nei riguardi dello shopping della proprie aziende in Italia. Proviamo noi a fare lo stesso con aziende francesi, pensate che ce lo farebbero fare? No, perché ci sono norme a tutela delle aziende ritenute strategiche per la sicurezza e l’economia nazionale, ci sono muri di veto governativi pronti a bloccare quelle che certe anime belle ora chiamano leggi di mercato e movimentazione di capitali: balle, sono scalate ostili a beni strategici. E chi non lo pensa è perché ha l’animo del Britannia, ovvero dello svenditore dei beni nazionali. Per quale ragione, altrimenti, due mesi fa il governo tedesco si è sentito in dovere di approvare una legge sulla falsa riga di quella francese per bloccare opa ostili su aziende strategiche, vedi Basf? Perché il governo Gentiloni non dice chiaro e tondo che, in base al principio di reciprocità, è pronto a dar vita domani mattina a un provvedimento simile a quello dei nostri partner, mandando un chiaro segnale di dignità e forza politica a Bollorè ma anche a Parigi e Berlino?
Ovviamente perché, per mero calcolo politico di bottega, chi spinge per andare al voto in fretta userebbe questa scelta come clava contro l’esecutivo, vendendo la narrativa dell’inciucio Gentiloni-Berlusconi alle masse ormai prone a qualsiasi sparata da Masaniello 2.0: difendere Mediaset è difendere un bene italiano, non Berlusconi, il quale se vendesse oggi avrebbe soldi per campare altre sette vite. E non tirate in mezzo il mercato e le sue regole, per favore, perché stringere un accordo su Mediaset Premium, disattenderlo tanto da andare in tribunale e, casualmente, quando a causa di questo il titolo perde il 30%, cominciare a rastrellarlo per salire nell’azionariato non è mercato, ma una mossa da pirata tagliaborse, quale Bollorè è da sempre.
Per Gentiloni, «da parte sua il governo ha semplicemente il diritto e il dovere di dire che si tratta di un settore molto importante e che il fatto che questo settore sia oggetto di scalata non ci lascia indifferenti, è una valutazione politica, pesa quanto pesano le valutazioni politiche dei governi». In realtà, stando a quanto ipotizzato da Mf-Milano Finanza, il colosso media francese potrebbe convocare un’assemblea per chiedere il rinnovo del cda di Mediaset, facendo in questo modo pressione su Fininvest per raggiungere un accordo. Se Vivendi lo facesse, fino alla convocazione dell’assemblea, il gruppo del Biscione non potrebbe avviare operazioni in grado di avere impatti sensibili sulla società, tra cui, ad esempio, la cessione di Mediaset Premium, su cui Sky, dopo il dietrofront di Vivendi di luglio, avrebbe di nuovo messo gli occhi.
Siamo all’intromissione nei piani industriali di un soggetto primario del mondo media e telecomunicazioni italiano, cosa aspettiamo ad agire? Tanto più che lo scenario tanto amato da mercatisti, ovvero un’opa obbligatoria da parte di Vivendi un volta arrivata al 30% del capitale, risulta sempre meno probabile, visto che in Borsa il titolo Mediaset ha cominciato gli storni. Ma attenti a non perdere d’occhio i campi di battaglia collaterali, dopo che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha smentito l’ipotesi stando alla quale la Cassa depositi e prestiti potrebbe entrare nel capitale di Telecom con 2,5 miliardi di euro per pareggiare il 24% in mano a Vivendi, al fine di bloccare la vendita di Telecom Italia a Orange e costringere Vincent Bolloré a trattare su Mediaset e Generali, il vero bersaglio finale.
Stesso ragionamento dovrebbe valere per il salvataggio Mps, dopo che il ministero delle Finanze tedesco ha espresso i propri timori circa il piano di salvataggio della terza banca italiana, sottolineando che Roma deve attenersi alle regole europee: «La Bce e la Commissione europea devono controllare e assicurarsi che le autorità italiane si attengano alle regole europee», ha affermato all’agenzia Reuters il portavoce del ministero. A detta del quale, «una ricapitalizzazione statale a livello precauzionale delle banche può essere una soluzione in casi eccezionali e a precise condizioni. Inoltre azionisti e creditori devono essere fra i primi a farsi carico delle perdite. La banca deve essere solvente e i soldi pubblici devono essere usati per coprire le perdite. Queste regole non devono essere aggirate».
In questo caso, quantomeno, qualcuno ha avuto il coraggio di reagire, per l’esattezza il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, il quale ha sottolineato che l’Italia interviene in una banca, mentre altri Paesi, in epoche precedenti, sono intervenuti sull’intero sistema: «Lo abbiamo fatto dopo esserci rivolti al mercato e perché si trattava del terzo istituto del Paese: non potevamo esporre clienti e risparmiatori al rischio di una risoluzione. Alla fine siamo stati quelli che più hanno aderito alla sostanza delle regole europee». E, soprattutto, qualcuno faccia notare ai tedeschi che i dubbi sulla solvibilità sono già stati prezzati dalla richiesta aggiuntiva della Bce, la quale ha fissato non a caso l’aumento a 8,8 miliardi dai 5 iniziali: cosa vuole Berlino, a parte creare instabilità in Italia per farla finire nel mirino dei mercati e garantire una campagna elettorale in sordina alla Merkel, visti gli straordinari risultati dell’intelligence tedesca nel contrasto a quel terrorismo che le politiche della Cancelliera hanno esacerbato?
Ovviamente non si può denunciare uno Stato sovrano per turbativa del mercati, soprattutto ora che il titolo e i bond Mps sono sospesi dalle contrattazioni, ma una bella convocazione dell’ambasciatore di Berlino da parte di Angelino Alfano per ricordare a lor signori i 14 miliardi di soldi pubblici usati per la sola Commerzbank e, quindi, l’obbligo di starsene zitti e guardare in casa loro, sarebbe cosa saggia. E un bel segnale per tutti. A meno che, come dicevo all’inizio, non sia partita una gara per forzare le condizioni di uno scambio tra tenuta politica del governo e tutela delle nostre aziende. In quel caso, meriteremmo di essere colonizzati nel peggior modo possibile.