La minaccia è servita: alcuni britannici, presunti membri dell’Isis, celebrano in un video gli attacchi di Bruxelles e affermano che i prossimi bersagli dei jihadisti saranno Downing Street e gli aeroporti londinesi di Gatwick e Heathrow. Non so come mai, ma la cosa non mi stupisce. E non perché abbia vissuto nella capitale britannica o perché il Regno Unito abbia permesso la nascita di tante piccole Londonistan nel suo cuore, ma perché sono i numeri a confermarlo. Nel tardo pomeriggio di mercoledì, alte fonti di sicurezza europee e irachene hanno lanciato l’allarme attraverso l’Associated Press: c’è un esercito di 400 combattenti addestrati e inviati in Europa, pronti a colpire “in autonomia”, scegliendo luoghi, tempi e metodi di attacco. Si tratterebbe di cellule interconnesse, come quelle che hanno agito a Parigi e Bruxelles, sguinzagliate in molti dei paesi del Vecchio continente, Italia compresa. Balle, sono molti di più.
Stando ad analisi del Soufan Group, un’agenzia di intelligence che fornisce consulenza anti-terrorismo a governi e multinazionali, c’è davvero da avere paura e da chiedere conto alle varie polizie e intelligence per quanto fatto – anzi, non fatto – finora. Dall’Austria sarebbero partiti 300 foreign fighters e ne sarebbero rientrati 70 (dato dell’ottobre 2015), dal Belgio 470 e ne sarebbero tornati 118 (dato dell’ottobre 2015), dalla Danimarca sarebbe partiti 125 terroristi e ne sarebbero tornati 62 (dato dell’ottobre 2015), dalla Finlandia 70 e ne sarebbero tornati oltre 25 (dato dell’agosto 2015), dalla Germania addirittura 760 e ne sarebbero rientrati più di 200 (dato del novembre 2015), dall’Italia sarebbero partiti in 87 e ne sarebbero tornati 10 (dato del novembre 2015), dall’Olanda 220 e ne sarebbero rientrati 40 (dato dell’ottobre 2015), dalla Svezia sarebbero partiti 300 foreign fighters e sarebbero rientrati in 115 (dato dell’ottobre 2015) e, infine, dal Regno Unito sarebbero partiti in 760 e sarebbero tornati ben in 350 (dato del novembre 2015). Come vedete, se queste valutazioni sono reali, sono ben più di 400: quel numero riguarda quasi soltanto la Gran Bretagna. Capito perché non mi stupisco del messaggio di minaccia? E questi sono dati pubblici, basta andare sul sito del Soufan Group.
In molti tra quelli che cercano chiavi di lettura alternative alla realtà spacciata dai media mainstream pensano che gli attacchi di Bruxelles, pur tra mille stranezze, siano stati un messaggio chiaro, una reazione per la cattura di Salah Abdeslam. Rappresaglia o segnale da inviare a lui? Viene da chiederselo visto che ieri, di colpo, l’ex primula rossa dell’Isis ha chiesto di essere estradato in fretta e furia in Francia, quando solo 24 ore prima sembrava non volesse lasciare Bruges nemmeno da morto. Ora, gli inquirenti belgi hanno dato ampiamente prova di incapacità, quindi un trasferimento in Francia potrebbe essere auspicabile, ma solo se Salah avesse davvero qualcosa da dire, se sapesse davvero qualcosa. Quando si è implicati in fatti simili, infatti, difficilmente si finisce vivi nelle mani delle forze dell’ordine. O sparisci o ti ammazzi o ti ammazzano.
Io penso che attraverso quella mattanza, chi di dovere abbia voluto mandare un altro segnale: ovvero, ci avevate detto che ci avreste sostenuti nella lotta per rovesciare Assad e invece nulla. Ed è proprio di ieri la notizia che le truppe governative siriane e le milizie a loro legate hanno liberato la zona settentrionale di Palmira, dove si trovano gli alberghi e hanno obbligato i combattenti dell’Isis a ripiegare in centro, nella zona dei giardini.
Attenzione, è un fatto di importanza fondamentale per due motivi: primo, dimostra che l’esercito siriano, insieme a iraniani ed Hezbollah, è in grado di agire sul terreno anche senza l’appoggio dei raid russi. Secondo, una volta caduta Palmira si tenterà la riconquista di Raqqa, la capitale del Califfato dove sarebbe stata decisa la strage di Bruxelles. Se cade Raqqa, l’Isis in Siria è morto. Cosa faranno i terroristi salafiti? Combatteranno per resistere o dovranno ammettere la sconfitta, cioè il fatto che Assad non cadrà e decideranno di concentrarsi su Iraq e, soprattutto, Libia? Io penso che non lasceranno la loro “patria” tanto facilmente e per questo c’è il rischio che i “messaggi” di morte verso chi fino a poco fa li aveva addestrati e blanditi in chiave anti-Damasco potrebbero proseguire.
Il quotidiano britannico Guardian ha reso noto che l’11 febbraio scorso, al quartier generale della Nato proprio a Bruxelles, il capo del Pentagono, Ash Carter, ha convocato i ministri della Difesa di 49 Paesi con uno scopo unico e preciso: discutere un’invasione terrestre della Siria. Stando a quanto riportato, Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati si sarebbero detti pronti a fornire truppe di terra. Prima con drappelli di forze speciali da aggregare a 50 teste di cuoio Usa, fino all’intervento su grande scala attraverso la Turchia, per creare un santuario per i ribelli che combattono contro Assad e il suo regime. Ma, come notava il Guardian, «la rapidità dell’avanzata delle truppe governative sostenute di bombardamenti aerei russi nel Nord della Siria e dalle milizie appoggiate dall’Iran, ha preso la coalizione americana di sorpresa». Ash Carter fu molto netto: «Abbiamo bisogno di accelerare la campagna e noi abbiamo un piano operativo molto chiaro sul modo di farlo Adesso abbiamo solo bisogno di risorse e di forze per proseguire».
Capito perché la frenata netta sulla Libia, quando solo tre settimane fa sembrava che il piano di intervento fosse pronto e i jet già sulla pista? Non è stato l’altolà di Matteo Renzi a rimandare, ma la volontà del Pentagono di attaccare in Siria. Peccato che Putin abbia spiazzato tutti, ritirando le truppe, ma facendo dire al suo ministro degli Esteri e fedelissimo, Serghei Lavrov, poche ma chiare parole: «Possiamo tornare in 24-48 ore». Come dire, al netto che in Siria abbiamo una base navale e una aerea, provate a destabilizzare ancora o, peggio, a intervenire sul terreno e alle porte c’è la Terza guerra mondiale, questa volta non a pezzetti o attraverso proxies: sarà conflitto diretto. Non a caso, l’Isis in Siria perde colpi, giorno dopo giorno.
Assad vale un conflitto potenzialmente globale e atomico? Ne dubito. O, almeno, lo spero. Certo, al Pentagono digeriscono male le sconfitte e quella strategica in Siria è stata cocente, una vera umiliazione. Forse, però, una lezione che impareranno un domani, quando il nuovo Isis di turno verrà foraggiato e addestrato per destabilizzare il nuovo Satana di turno.
(1- continua)