È guerra. Aperta. Dichiarata. Feroce. Ma i media non ne parlano, l’unico conflitto con cui si riempiono paginate di giornali è quello riguardo la sacrosanta decisione dell’Austria di imporre controlli al Brennero e i capricci da bambino piccolo nei confronti di Bruxelles del nostro presunto governo. Ma l’Europa è in guerra: da un lato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, e dall’altro il governatore della Bce, Mario Draghi. E volano fendenti come in un combattimento tra samurai: motivo del contendere, nemmeno a dirlo, la politica di liquidità pressoché infinita e a costo zero posta in essere dall’Eurotower, aggravata ora dalla discesa in negativo dei tassi di interesse. 



E a confermare che la questione è seria ci hanno pensato nei giorni scorsi i due quotidiani finanziari più importanti del continente, il britannico Financial Times all’attacco di Schaeuble e il tedesco Handelsblatt in sua – parziale – difesa, stando al resoconto dello scontro fatto da MF-MilanoFinanza. In un editoriale di fuoco contro il ministro delle Finanze tedesco, giovedì 14 il Financial Times lo ha accusato di essere «non solo in difetto in linea di principio, ma sconsiderato in pratica» per aver osato criticare le politiche monetarie espansive della Banca centrale europea. Immediatamente si è mosso a difesa del ministro il principale quotidiano economico tedesco, Handelsblatt, in un editoriale a firma del direttore dell’edizione globale, Kevin O’Brien. Stando al giudizio di Handelsblatt, non è un segreto che la Germania, la maggiore delle 19 economie dell’eurozona, non sia una fan delle politiche di Quantitative easing introdotte dal Presidente della Bce, Mario Draghi. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, lo sottolinea in quasi ogni sua apparizione pubblica degli ultimi tempi. In alcune recenti occasioni, Schaeuble ha alzato il volume, avvertendo che la vita reale senza tassi di interesse che la Bce ha imposto in Germania sta fomentando disordini politici nel Paese, in cui un partito anti-euro e anti-immigrati, l’Alternativa per la Germania (Afd), sta intercettando le frustrazioni latenti di una classe media in piena stagnazione. 



Stando al Financial Times, invece, collegare la Bce con l’Afd è un passo troppo lungo: «Agli interessi partitici non deve essere permesso di impedire ai governatori della Bce di agire come meglio credono». Pronta la controreplica di Handelsblatt, a detta del quale «certamente è noto ai nostri colleghi londinesi che la Gran Bretagna è altrettanto colpevole, se non di più, del tentativo di influenzare la politica della Bce, che, diciamocelo francamente, sovrintende una moneta che è diretta concorrente della sterlina britannica». Il giornale tedesco ricorda che George Osborne, omologo britannico di Schaeuble e Cancelliere dello Scacchiere britannico, nel gennaio 2015, a Davos, «non aveva avuto scrupoli a prendere di mira la Bce definendo inadeguato il suo programma Qe, il quale avrebbe solo fornito un’occasione a Francia e Italia di non realizzare le riforme strutturali di cui hanno bisogno». Schaeuble era seduto a pochi passi di distanza da Osborne, a Davos, quando il cancelliere affermava che la Gran Bretagna non avrebbe mai abdicato alla sterlina per l’euro o qualsiasi altro progetto di centralizzazione monetaria. Handelsblatt sostiene che, quando si tratta dell’euro, il Financial Times tende a privilegiare gli interessi nazionali, un progetto di moneta unica che rifiuta per principio e in cui non vuole essere coinvolto. 



A giudizio di Handelsblatt, quindi, la prudenza di Schaeuble sui programmi di Qe non è solo la volontà di azzannare i banchieri centrali a Francoforte, ma si basa su un argomento relativamente semplice che sta prevalendo in Germania, «un Paese in cui indebitarsi è un anatema e in cui gli ingegneri tendono a fare le regole». Per fare un paragone automobilistico, Handelsblatt sottolinea che «l’economia europea è come uno pneumatico e la Bce attraverso tassi di interesse negativi e denaro gratis vi sta pompando sempre più aria: la preoccupazione di Berlino è tutto questo denaro comporta una fortissima pressione, che se non assorbita dai debitori e dal mercato, finirà per gonfiare un’altra bolla». 

Di più, «certo, i tedeschi tendono a peccare per eccesso di conservatorismo fiscale, il che è anche riflesso nelle loro preferenze di politica monetaria. È vero anche che la Bce è stata probabilmente troppo lenta quando si trattava di avviare la politica espansiva. Ma ora che l’ha fatto, senza finora ottenere l’effetto di stimolo economico desiderato, è ragionevole almeno iniziare a chiedersi, Dio non voglia, se non sia meglio prendere in considerazione altri modi per evitare un’altra bolla». 

E che lo scontro sia di quelli reali, non una baruffa passeggera, lo dimostra la discesa in campo a difesa di Mario Draghi e delle sue politiche del direttore del Fondo monetario, Christine Lagarde, intervenuta giovedì a «forte sostegno» della politica monetaria della Banca centrale europea: «La politica monetaria accomodante ha avuto un ruolo cruciale nella ripresa e anche i tassi d’interesse negativi sono, tutto considerato, un fatto positivo e possono aiutare. Sosteniamo con forza le decisioni prese dalla Bce, l’inflazione è molto bassa. La crescita è inferiore al potenziale. Quindi crediamo che una politica monetaria innovativa sia legittima». 

Bontà sua, il capo del Fmi ha ammesso che ci sono possibili effetti collaterali, in particolare sui margini delle banche e che i tassi negativi non possono continuare per sempre, ma si è chiesta: «Senza queste decisioni non ci sarebbero meno crescita, meno credito, meno occupazione?». Meno di così, madame Lagarde, la vedo davvero difficile, ma capisco che per chi guida un’istituzione la cui occupazione principale è smentire e rivedere al ribasso le proprie stime, l’asticella del ridicolo sia posizionata parecchio in alto. Inoltre, Christine Lagarde ha ripetuto la tesi del Fondo monetario, in base alla quale i Paesi che hanno spazio nei bilanci (la Germania ha i conti in pareggio) devono adottare politiche fiscali di sostegno alla crescita, il rilancio della quale passa da una strategia a tre punte: «La politica monetaria non può fare tutto da sola, ma ha bisogno del sostegno della politica di bilancio e delle riforme strutturali». Insomma, le solite balle che sentiamo più o meno dal 2010. 

Attenzione, però, a cosa si muove sullo sfondo in questo momento. Saprete che in Germania è stata emessa una serie limitata di monete da 5 euro (250mila pezzi di tiratura) in vendita a 15,50 euro l’una per i collezionisti, ma la notizia interessante è che la Bundesbank metterà in circolazione anche 2,5 milioni di pezzi da 5 euro normalmente spendibili come qualsiasi altro taglio di moneta dell’euro, con il solo limite di poter essere utilizzata esclusivamente nel territorio nazionale, in quanto gli accordi di circolazione monetaria fra i Paesi euro non prevedono anche questo valore fra le monete in circolazione comunitaria. La novità inoltre è che la Germania percepirà tutto il signoraggio sull’emissione di questa moneta, in quanto gli accordi prevedono che sulle banconote cartacee sia esclusivamente la Bce a incassarlo, mentre gli Stati sulle monete metalliche. 

Una mossa strategica o meramente politica? Al riguardo Antonio Maria Rinaldi ricorda quanto segue: «A questo punto ritorna in mente come a iniziare dal 1966 e fino al 1979 il Tesoro italiano, per sopperire alla carenza di banconote da 500 lire non stampate più dalla Banca d’Italia, provvedette all’emissione di Biglietti di Stato con l’indicazione di Repubblica Italiana e non dell’Istituto di emissione e firmate dal Direttore Generale del Tesoro e non dal Governatore della Banca d’Italia. Praticamente si emisero biglietti di Stato a corso legale senza creare debito e ne furono messe in circolazione per un importo totale di circa 500 miliardi di lire». 

A che gioco sta giocando la Germania? Si sta difendendo. E il perché è presto detto: la mossa dei tassi negativi decisa da Draghi ha infatti già reclamato una vittima eccellente, le casse di risparmio o Sparkassen. Non solo, infatti, queste ultime hanno già minacciato una sorta di “sciopero dei depositi”, ovvero tenersi la liquidità in cassa invece di parcheggiarla overnight presso la Bce ma hanno già cominciato a scaricare i costi della politica dell’Eurotower sui grandi clienti come i fondi o le assicurazioni, soggetti che lucrano sui rendimenti depositando milioni di euro a breve. Ma non basta. Stando a un’indiscrezione della Frankfurter Allgemeine Zeitung, le banche taglieranno i rimborsi in caso di default, scoraggiando anche i depositanti a breve. 

La dinamica è di quelle da non sottovalutare: in regime di bail-in, infatti, gli istituti corrono ai ripari, poiché finora le somme sopra i 100mila euro erano garantite dal fondo per i depositi della federazione delle banche tedesche, intervenuta 9 volte dal 1998, ma con l’ausilio delle garanzie statali. Oggi non è più possibile, quindi si taglia. Ma nel mondo meraviglioso delle Banche centrali succedono cose incredibili, nemesi impensabili che prendono corpo proprio in Germania. La banca Berlin Hyp durante la scorsa crisi finanziaria, quando il governo tedesco mise in campo unbail-out da 500 miliardi di euro del proprio sistema bancario, stava infatti per andare a zampe all’aria, mentre il 9 marzo scorso è stata il primo soggetto non-statale a emettere un bond con rendimento negativo, per l’esattezzacovered bonds per 500 milioni di euro a tasso -0,162% e zero coupon. In parole povere, se compri 1000 euro di obbligazioni, riceverai 998,38 euro fra tre anni quando andrà a scadenza. Insomma, un investimento che garantisce di perdere soldi. 

Come cambiano le cose in soli otto anni, non vi pare? Insomma, si paga la banca per avere l’onore di detenere il suo debito: nel 2008 questa logica delirante era al contrario, ovvero in alcuni casi i mutui immobiliari venivano finanziati al 105% del costo della casa, quindi oltre all’immobile c’era anche un piccolo extra-cash. Attenzione, però, perché oggi Swiss RE calcola che circa il 20% di tutti i bond governativi nel mondo abbiano rendimento negativo, mentre la percentuale sale al 35% se si prende soltanto l’eurozona. 

Può durare una follia simile? Di più, la bolla del 2008 era di “soli” 1,3 triliardi di dollari, mentre stime conservative parlano di bond con rendimento negativo per un controvalore di 7 triliardi di dollari. Forse c’è di che preoccuparsi. E sia il governo tedesco che la Bundesbank non possono sottovalutare le criticità che derivano da tassi negativi per leSparkassen, visto che queste vantano assets per 1000 miliardi di euro – pari al 40% del sistema creditizio tedesco – e cinquanta milioni di clienti in Germania. Mesi fa proprio le Sparkassen avevano commissionato a un auditor esterno un rapporto sugli effetti dei tassi a zero sul loro outlook, documento che non è mai stato pubblicato, ma che è capitato nelle mani di uno zelante giornalista che ne ha diffuso il contenuto più stringente. Il rischio? «Una crisi tedesca delle banche locali», visto che da qui al 2018 le politiche monetarie della Bce rischiano di portare sull’orlo del collasso due terzi delle casse di risparmio. Nelle settimane scorse, d’altronde, è stato lo stesso presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a mettere in guardia dagli effetti dei tassi bassi: entro il 2019 rischiano di mangiarsi fino al 75% degli utili delle banche. 

Capite perché la Germania sta mostrando i denti? Attenzione, di fatto la Germania è fuori dall’euro, visto che ha in circolazione una moneta – con validità assoluta di cambio e utilizzo – che non esiste al di fuori dei suoi confini, se non a fini di collezionismo. È la stessa logica del bail-in cipriota, in base al quale per molti 1 euro di Cipro non valeva quanto 1 euro francese o italiano, poiché soggetto a controlli di capitale e quindi l’Isola poteva già essere ritenuta fuori dall’unione. Non scherziamo troppo con il fuoco degli interessi tedeschi, perché potrebbe divampare un incendio devastante per la periferia Ue. E, detto tra noi, Mario Draghi ha miseramente fallito la sua missione.