L’apprendista piromane si è scottato le dita? Almeno così verrebbe da pensare guardando a quanto accaduto all’aeroporto di Istanbul, dove un commando di terroristi ha ucciso 43 persone e ne ha ferite oltre 200. In effetti, il timing è perfetto. Pensateci: Erdogan ha appena fatto pace con Israele e mandato una lettera di scuse a Putin per l’abbattimento dell’aereo russo al confine siriano, quindi nella mente malata dei membri del Califfato è diventato amico di due nemici mortali, i sionisti e l’uomo che ha scatenato l’offensiva contro l’Isis in Siria e Iraq. Andava punito. E in fretta, meno di 48 ore dall’accadimento dei due eventi e con un attentato di carattere militare che poco si confà a un qualcosa di organizzato in fretta e furia. 



Di più, la settimana prossima a Varsavia si terrà una riunione della Nato molto critica, visto che nel silenzio generale dei media, l’Alleanza atlantica sta accerchiando, attraverso la scusa delle esercitazioni militari, l’area di influenza post-sovietica. E che dire di oggi, data in cui scade l’ultimatum turco verso l’Ue affinché entri in vigore il regime di visti liberi per i cittadini turchi nell’Unione? Di più, non ci fosse stata quella rogna del Brexit a rompere le uova nel paniere, ieri era previsto a Bruxelles un meeting tra Ue e Turchia per riavviare il dialogo per l’ingresso di Ankara, pannicello caldo per tenere buono Erdogan rispetto alla questione dei visti ed evitare la ritorsione, ovvero lo stralcio dell’accordo sui profughi che porterebbe la Turchia ad aprire le frontiere con Grecia e Bulgaria. 



Già, perché troppo impegnati a profetizzare le cavallette nel Regno Unito, abbiamo preso sotto gamba che solo in Italia negli ultimi 4 giorni sono arrivati 13mila clandestini, visto che chi arriva dall’Africa sub-sahariana o dal Maghreb non scappa da nessuna guerra, lo fa per ragioni economiche e quindi per me è tale. È fantastico come ci prendano in giro, credono davvero che abbiamo tutti l’anello al naso. La Turchia, negli ultimi due anni, ha fatto transitare dal suo territorio verso gli scenari di guerra mediorientali 35mila jihadisti, ha comprato petrolio dall’Isis, ha utilizzato la scusa della lotta al terrorismo per massacrare curdi a proprio piacimento e ora, guarda caso, subisce un attentato che azzera tutto, che monda ogni peccato. Eh sì, perché è ovvio che l’attacco è una ritorsione per il nuovo atteggiamento posto in essere verso Israele e Russia, i grandi demoni. E chi potrà più dire nulla alla Turchia adesso, l’Ue forse? 



Guarda caso la precondizione per il regime di visti liberi era proprio la revisione della legge anti-terrorismo, ritenuta troppo dura: con il sangue di 40 innocenti sul pavimento dell’aeroporto di Istanbul, chi avrà il coraggio di reiterare questa richiesta? L’ennesima attentato perfetto signori miei, con i tempi e modi giusti: viviamo in un mondo di coincidenze fantastiche. C’è il referendum sul Brexit? Tac, un pazzo salta fuori dal nulla e ammazza un’esponente del Labour pro-Ue, oltretutto donna e madre di due figli, tanto per drammatizzare ancora di più la cosa, a una settimana dal voto. Serve un attacco verso Trump che si avvicina nei sondaggi? Pronti, un bel massacro in una discoteca frequentata da omosessuali a Orlando, prima rivendicato a nome dell’Isis e poi finito nel silenzio a tempo di record e derubricato ad atto criminale di un omosessuale latente a sua volta e con problemi psichiatrici, visto che Obama ha detto che si tratta di auto-radicalizzazione e non di un caso di connessione terroristica con gruppi esteri. Inoltre, tac, ecco pronta la manfrina ritrita dell’eccessiva facilità con cui si comprano pistole e fucili negli Usa, visto che – guarda caso – la potente Nra, l’associazione dei produttori di armi, ha garantito l’endorsement a Trump. Ma tranquilli sono tutte coincidenze fortuite, non c’è affatto una regia. 

E che dire del Brexit, madre di tutte le sciagure? È certamente colpa dei vecchi illetterati che abitano la perfida Albione se le banche si schiantano in Borsa, salvo rimbalzi del gatto morto dovuti a short-covering, non di ciò che ci mostra il grafico a fondo pagina, ovvero che le delinquencies totali su prestiti e leasing sono tornate al livello del 2008-2009: ma la colpa di tutto è della signora Rose di Sunderland e del suo voto per il Leave, non di qualche banchiere che andrebbe preso, messo in galera e lasciato osservare mentre si butta via la chiave della cella. 

Per quanto ancora avete voglia di farvi prendere per i fondelli? Per quanto ancora voterete gente impresentabile, incapace e collusa con questo sistema di potere? Per quanto accetterete la logica dell’attentato che libera tutti, come a nascondino? Sapete perché questo attentato è avvenuto proprio ora, al netto delle ragioni che ho già elencato? Perché Erdogan comincia a pensare che l’opzione Ue sia perdente, visto che sul fronte asiatico i movimenti in atto sono tanti e di portata storica. Primo, mentre noi ci gingillavamo con il Brexit, il 24 giugno il Presidente russo, Vladimir Putin, e quello cinese, Xi Jinping, si sono incontrati a Tashkent, in Uzbekistan, per il summit dei leader dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), mentre il giorno dopo lo stesso Putin si è recato a Pechino. Stando quanto ha riferito l’agenzia di stampa Xinhua, Xi ha dichiarato che i due Paesi dovranno «lavorare per un allineamento dell’iniziativa Belt and Road e dell’Unione economica eurasiatica Eeu, oltre a operare un più stretto coordinamento negli affari internazionali e regionali».

L’iniziativa Belt and Road è il progetto di cinese di riaprire i canali di trasporto e commercio delle antiche Vie della Seta e alcuni osservatori vedono questa strategia come alternativa all’Unione economica eurasiatica promossa da Putin. Il quale, dal canto suo, ha auspicato la creazione di una sinergia tra la Eeu, l’iniziativa Belt and Road e la stessa Sco, di cui fanno parte, oltre a Cina e Russia, anche Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, mentre sono osservatori Afghanistan, Bielorussia, India, Iran, Mongolia e Pakistan.

Secondo e forse ancora più importante, il 7 giugno a Mosca sempre il presidente russo, Vladimir Putin, e quello israeliano, Benjamin Netanyahu, hanno deciso durante il loro incontro di rafforzare la cooperazione militare tra i due paesi, stando a quanto riporta DebkaFiles in base agli inside delle sue fonti militari e di intelligence. Una decisione storica, poiché segna la fine dell’unicità dei rapporti militari di Israele con gli Stati Uniti, tanto che la prima tranche di esercitazioni dovrebbe coinvolgere la marina e l’aviazione dei due Paesi e dovrebbe tenersi nella prima metà dell’estate. Verrà intensificata anche la cooperazione tra Russia e Israele per le missioni che avvengono nello spazio aereo siriano. Inoltre, sempre stando alle fonti la decisione di tenere esercitazioni in comune è legata a un accordo che permetterebbe alle compagnie di estrazione russe di sfruttare i giacimenti israeliani offshore Leviathan e Tamar. 

Le parole di Netanyahu sono state chiare: «Le nostre porte sono aperte a tutte le compagnie di tutti i paesi che hanno esperienza nel campo del gas, inclusa la Russia ovviamente». Putin, dal canto suo, ha provato ripetutamente a creare una testa di ponte per le compagnie russe nei giacimenti offshore israeliani, specialmente per Gazprom. In particolare, ha sottolineato come la presenza di forze militari russe nell’area avrebbe protetto i giacimenti da eventuali attacchi iraniani o siriani: la cooperazione tra i due Paesi potrebbe comprendere molti campi strategici come difesa, energia, comunicazioni e trasporti. Cosa significa tutto questo? Un cambio radicale degli equilibri in Medio Oriente, con Bashar al-Assad salvo a tempo determinato (la sua testa sarà politicamente utile in futuro) e l’Iran destinato a diventare l’agnello sacrificale, almeno a livello di propaganda internazionale, della campagna elettorale Usa, a quanto pare con il beneplacito di Putin che con gli ayatollah aveva avuto finora un rapporto privilegiato, soprattutto sul fronte siriano. 

Guarda caso, Russia e Israele, i due Paesi con cui Erdogan ha fatto pace pochi giorni fa. E di colpo, un bell’attentato che ripulisce il curriculum vitae del despota di Ankara agli occhi del mondo e che gli permette di avvicinarsi al nuovo blocco di potere a Est, qualcosa che conta di più dell’Unione europea e della sua istituzione da barzelletta. Tanto è vero che mercoledì tra Erdogan e Putin è scoppiata ufficialmente la pace: la telefonata del capo del Cremlino per esprimere il cordoglio dei russi dopo la strage di Istanbul si è perfettamente inserita nell’offensiva diplomatica dell’uomo forte di Turchia, tanto che dopo il colloquio fra i presidenti è seguito l’annuncio che presto arriverà un incontro diretto fra i due e che saranno cancellate le sanzioni contro Ankara. «Ho chiesto al governo russo di rimuoverle», ha detto Putin. 

L’Europa, invece, è così geniale da averle rinnovate le sanzioni verso Mosca, su pressione tedesca e perché altrimenti al Dipartimento di Stato ci restano male. Ma tranquilli, sono tutte coincidenze, come al solito. Come il fatto che, casualmente, tre degli attentatori siano caucasici: e uno come Putin, che per risolvere il problema islamico in Cecenia ha trasformato Grozny in un posacenere, a certe cose è terribilmente sensibile. Il problema è che qui i tg da venerdì scorso parlano solo di Brexit. Almeno non vi allarmate troppo e continuate a pensare che il centro del mondo siano Jean-Claude Juncker e la sua fedele bottiglia di cognac.