Giuro che non volevo menar gramo al Portogallo, ma purtroppo la realtà è ostinata, nonostante i magheggi della Bce, e il grafico a fondo pagina ci mostra come lo spread dei bond portoghesi sia cominciato a salire in contemporanea con i rumors che vedono il rating investment grade garantito al Portogallo dalla canadese Dbrs (e che permette a Draghi di comprare obbligazioni sovrane lusitane, al netto della valutazione junk della “tre sorelle”) sempre più a rischio. Parliamo della crescita di rischio sovrano maggiore da due mesi a questa parte, il tutto in netta controtendenza con quanto accade nell’eurozona e anche tra i cosiddetti Pigs.
E a confermare che la situazione sta deteriorando è il capo dei rating sovrani della Dbrs, Fergus McCormick, interpellato dalla Reuters riguardo lo stato di salute dell’economia portoghese. A oggi la valutazione di Lisbona ha outlook stabile, ma andrà in revisione il 21 ottobre prossimo, data prima della quale qualsiasi percezione di rischio o di perdita dello status di eligibilità dell’acquisto da parte della Bce, potrà mandare i bond portoghesi sull’ottovolante. A far paura, il rallentamento della già debole crescita economica del Paese: «Il dato sul Pil del secondo trimestre reso noto venerdì scorso, un misero +0,2%, ha fatto aumentare le nostre preoccupazioni riguardo le prospettive di crescita del Paese, il quale ci appare nettamente in rallentamento nel trimestre in atto», ha dichiarato McCormick, a detta del quale, però, «nonostante tutto, l’outlook resta stabile, ma le pressioni sembra che stiano montando da vari fronti, non ultima la domanda da parte della Commissione europea di aumentare i tagli alla spesa».
E c’è una connessione in atto, visto che la revisione del rating da parte di Dbrs arriverà soltanto una settimana dopo che il Portogallo sarà chiamato proprio a fornire alla Commissione una lista di quei nuovi tagli ritenuti necessari per rispedire il deficit di budget sotto il 3% del Pil. L’incertezza relativa al come ottenere queste misure unita al contraccolpo politico che nuova austerità potrebbe avere sulla già fragile coalizione di centrosinistra fa crescere i timori in McCormick, a detta del quale non è affatto escluso che si debba operare un salvataggio di alcune banche, tra cui Caixa Geral de Depositos e Bcp, attraverso soldi pubblici o, peggio, con il meccanismo del bail-in. «I partiti della sinistra appoggeranno queste due iniziative? A oggi, non vi è alcuna chiarezza», conclude McCormick.
Inutile dire che la data del 21 ottobre sarà guardata con grande attenzione dagli investitori e dagli analisti, visto che un downgrade significherebbe l’addio del Portogallo alla qualifica di rating investment grade e quindi alla possibilità di finanziarsi a costo zero grazie al backstop della Bce. Di più, le banche portoghesi di fatto sono legate all’Eurotower come a un polmone d’acciaio e una perdita del rating innescherebbe immediatamente una sell-off di mercato significativa, anche al netto delle sempre maggiori detenzioni di debito sovrano degli istituti lusitani, un qualcosa di cui abbiamo parlato ieri.
Insomma, la situazione è seria. E qualcosa la rende ancora più incerta, perché proprio due giorni fa la Dbrs ha reso noto di aver nominato un nuovo team per le valutazioni dei rating di credito europei. Il nuovo responsabile è Nichola James, mentre Fergus McCormick – responsabile per l’Europa dal 2010 – è stato nominato capo economista e responsabile dell’ufficio di New York, il quale si occupa di valutazioni extra-europee.
James ha un curriculum di tutto rispetto, visto che proviene dal gruppo di valutazione del rischio Paese del Mufg Group, dove ha ricoperto il ruolo di direttore per 6 anni, mentre prima era senior manager al reddito fisso di Lloyds Bank. E anche la sua educazione non è da meno, visto che si è laureato allo University College London e ha conseguito un master alla Warwick Business School. La domanda è una sola: questo repentino cambio ai vertici del team chiamato a valutare i rating dei Paesi europei è una mossa interna all’azienda o, come si vocifera, una risposta poco ortodossa alle pressioni che sarebbero arrivate dalla Banca centrale europea affinché il rating lusitano non venisse tagliato?
Insomma, l’Europa deve stare attenta all’autunno. Ma c’è anche un’altra Europa, la quale può festeggiare. Smentendo le Cassandre che prevedevano l’abbattimento delle sette piaghe d’Egitto, i consumatori britannici hanno infatti festeggiato il Brexit: le vendite al dettaglio a luglio sono cresciute dell’1,4% rispetto al mese precedente e del 5,9% su base annua, dati che hanno nettamente battuto le attese (+0,2% mensile, +4,2% annuo). La sterlina si è subito rafforzata, salendo ai massimi da quasi due settimane sul dollaro a 1,3159. Al sorprendente risultato hanno contribuito il tempo particolarmente caldo e soleggiato e l’arrivo massiccio dei turisti dall’estero, favorito ovviamente dall’indebolimento della sterlina. Inoltre, stando all’agenzia di rating Moody’s, non ci sarà nessuna recessione post-Brexit, come aveva invece previsto la grande maggioranza degli analisti e il Regno Unito quest’anno crescerà dell’1,5% e il prossimo dell’1,2%. Il tutto, con alle spalle una Banca centrale sovrana che ha appena rafforzato il programma di stimolo.
Chi addossa alla Brexit la colpa del rallentamento dell’economia di altri Paesi, sembra quindi avere sbagliato bersaglio. O fatto male i conti con la propria malafede.