Io di governi incapaci e dannosi nella mia vita ne ho visti parecchi, quasi tutti, ma quello guidato da Matteo Renzi è un’autentica sciagura da cacciare il prima possibile. E la cosa grave è che oltre a essere degli incapaci totali intrisi di malafede, pensano anche di essere così più intelligenti della media da poter vendere la loro merce politica da suk come fosse oro. Stanno portando il Paese alla rovina, giorno dopo giorno.
A luglio, il debito pubblico si è attestato a 2.252,22 miliardi di euro, segnando così l’ennesimo aumento: questa volta il balzo in avanti è stato di ben 3,4 miliardi di euro rispetto al mese precedente. Si tratta del nuovo record storico che batte il dato di giugno di 2.248,831 miliardi. Nel supplemento al bollettino statistico Finanza pubblica, fabbisogno e debito, la Banca d’Italia riporta che soltanto un anno fa il debito era pari a 2.200,553 miliardi di euro, mentre nei primi sette mesi del 2016 il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di ben 80,5 miliardi di euro. Una cifra monstre che il premier Matteo Renzi non può nascondere sotto il tappeto, perché più aumenta il debito, più aumentano gli interessi da pagare. Si tratta di un circolo vizioso in cui i contribuenti rischiano di trovarsi pericolosamente invischiati, anche perché, aldilà dei proclami quotidiani, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non sembra preoccuparsene.
Peccato che entro un paio di settimane, il governo dovrà reperire 15 miliardi di euro per evitare che scatti la clausola di salvaguardia posta a garanzia della scorsa Legge di stabilità: eppure il pifferaio di Rignano aveva giurato che non si sarebbe mai arrivati a queste condizioni, come mai adesso tocca lanciarsi nell’ennesima corsa contro il tempo? C’è poi il nodo pensioni, il famoso Ape, ovvero l’ennesimo favore che questo governo fa alle banche: vuoi andare in pensione prima? Nessun problema, stipuli un bel mutuo con il tuo istituto su cui il governo mette la garanzia (sai che garanzia quella di uno Stato potenzialmente già fallito) e puoi andare in pensione. Ovvero, a fronte di un’età pensionabile sempre più alta, ecco che se paghi puoi ottenere ciò che è tuo diritto, ovvero i contributi versati in una vita di lavoro. E la cosa bella è che i sindacati sono d’accordo, applaudono: un po’ meno la Cgil, ma non perché abbia ancora il senso della decenza, solo perché lo Spi, il sindacato dei pensionati, è l’unico che garantisce ancora tesseramento, quindi prima della firma occorre tastare bene gli umori.
Ma non basta, perché per unire al danno anche la beffa, arriva lo studio di ImpresaLavoro, nel quale si evidenzia “come da molti anni la spesa per pensioni rappresenti la voce più importante dell’intera spesa pubblica italiana: nel 2015 è stata di quasi 260 miliardi, pari al 31,5% dei complessivi 826 miliardi di euro”. Pesa l’invecchiamento della popolazione, ma anche il fatto che le riforme si siano fino ad oggi concentrate solo su un aspetto del problema. Hanno innalzato l’età, mentre “poco o nulla è stato fatto invece per contenere – o addirittura ridurre – il livello degli assegni pensionistici”.
Il ministero dell’Economia sostiene che la spesa previdenziale resterà al livello di oggi, scendendo all’1,9% nel 2060, ma stando a ImpresaLavoro “queste stime contengono però elevati livelli di incertezza e sembrano basarsi su assunti tutt’altro che solidi”. Tra le premesse che rendono incerta la sostenibilità delle nostre pensioni, la produttività, la quale nelle previsioni oniriche del governo “dovrebbe miracolosamente tornare ai tassi di crescita degli anni Settanta e Ottanta”, mentre il tasso di occupazione, “da sempre a livelli molto bassi in Italia, dovrebbe allinearsi molto rapidamente agli standard europei”.
C’è poi il tema della crescita. Il governo, infatti, dà per scontato un 1,5% all’anno tra il 2020 e il 2060: “E se queste previsioni dovessero, nella realtà, risultare scorrette? In tal caso la politica sarebbe costretta a intervenire nuovamente sugli unici fattori direttamente controllabili: l’età di accesso alla pensione (già di molto elevata) e l’entità degli assegni pensionistici (già ridotti). Con il risultato di rendere sempre più povere le future pensioni”. Signori, siamo sul Titanic e qual è l’unica priorità del governo? Monte dei Paschi e il comparto bancario. Punto. Tanto che ieri è andato in scena anche un duello di cifre tra l’esecutivo e Confindustria, corpo intermedio che fino adesso sia era rivelato più filo-governativo e zerbinato di Denis Verdini. Il Centro studi dell’associazione degli industriali ha infatti messo alle strette il governo Renzi, tagliando ancora le stime di crescita per l’anno in corso (solo +0,7%) e per il 2017, quando la performance dell’economia italiana appare “del tutto insoddisfacente e per di più non scontata”.
Ma l’ineffabile titolare del Tesoro, Pier Carlo Padoan, che ha partecipato alla presentazione dei nuovi Scenari economici di viale dell’Astronomia, non ci sta. E nonostante solo due giorni fa abbia ufficializzato come anche l’esecutivo, nell’aggiornamento del Documento di economia e finanza atteso per la prossima settimana, debba giocoforza rivedere al ribasso le proprie previsioni alla luce della frenata del secondo trimestre, assicura: “Le stime dovrebbero essere migliori di quelle di Confindustria sia per il 2016 che per il 2017, perché quelle del Csc si basano su ipotesi di policy diverse da quelle che il governo intende proporre”. “Ipotesi” che saranno l’ossatura della prossima legge di Bilancio, il cui iter è tutto in salita visto che, stando a quanto riportava Repubblica, dopo il bilaterale di sabato scorso tra Padoan e il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici è stata “accantonata l’idea” di lasciar correre il rapporto deficit/Pil al 2,4% e finanziare così parte delle uscite. Et voilà, i 15 miliardi di fabbisogno di cui vi parlavo prima.
Ma c’è di più, perché il rapporto di viale dell’Astronomia è impietoso nel sottolineare come per i prossimi mesi si profili una “debolezza superiore all’atteso che segue l’arresto della risalita” registrata nella primavera scorsa. Gli ultimi indicatori congiunturali “non puntano ad un rapido riavvio, piuttosto confermano il profilo piatto” e la crescita prevista nel 2017 “sebbene già del tutto insoddisfacente, non è scontata e va conquistata”. Risultato: così stando le cose, gli analisti dell’associazione imprenditoriale si attendono per quest’anno un progresso del Pil limitato al +0,7% e al +0,5% nel 2017. Questo contro, rispettivamente, il +1,2% e +1,4% contenuti nel Def, numeri che nell’aggiornamento del documento, stando a indiscrezioni, verranno ridotti rispettivamente al 0,9 e 1,1-1,2%.
A colpire non è tanto la differenza tra le cifre, quanto il fatto che gli scenari prefigurano un rallentamento sempre più marcato. Signori, siamo moribondi, se non l’avete capito. Chi l’ha capito bene è Matteo Renzi, il quale infatti ha passato l’estate a cercare di spersonalizzare il referendum, perso il quale aveva promesso di abbandonare non solo il governo, ma la politica attiva tout court e ora gioca a rimpiattino con la Consulta, facendo di tutto per legare lo svolgimento del quesito sulle riforme a dopo il parere della Corte costituzionale sulla legge elettorale, il quale è formalmente atteso per il 4 ottobre, ma potrebbe magicamente slittare in avanti, forse all’inizio del prossimo anno. Se così fosse, forte dei numeri in Parlamento, Renzi forzerebbe la mano per rimandare il referendum a dopo il parere della Consulta, guadagnandosi almeno quattro mesi di tempo, durante i quali sperare in un miracolo. Magari qualche altro trucchetto come la decontribuzione, pagata uno sproposito per ottenere risultati risibili, ma capace di imbellettare, agli occhi dei meno attenti, il Jobs Act come un successo senza precedenti.
Le tasse? Parole, solo parole, ma la pressione continua a salire: sarà colpa della Brexit o del caldo anomalo. Una cosa serve in questo Paese: agire sul cuneo fiscale, solo quello. Nessuno lo ha fatto, anche se tutti si sono riempiti la bocca di promesse e grandi progetti. Abbiamo buttato via 15 anni in questo Paese e il governo Renzi sta mettendo la pietra tombale sulle minime, residue speranze. Professionista del raccontare bugie e calciare in avanti il barattolo. Peccato che quel barattolo sia il destino di tutti noi. A casa, il prima possibile.
E dopo aver sentito Stefano Parisi a Porta a porta, ritenendo l’ipotesi M5S improponibile per chiunque abbia un minimo di raziocinio, invoco la Troika. Abbiamo perso, è giusto pagare il prezzo: leviamoci questo dente e speriamo che il dolore non sia troppo.