Tu guarda a volte le tempistiche. Il Joint Investigation Team, l’equipe composta da investigatori provenienti da Paesi Bassi, Australia, Ucraina, Malesia e Belgio, mercoledì in una conferenza stampa ha rivelato al mondo quanto segue. Ovvero, che ad abbattere il volo MH17 della Malaysia Airlines il 17 luglio 2014, nei cieli dell’est dell’Ucraina, sarebbe stato un missile lanciato dai separatisti filorussi. Di più, il missile Buk terra-aria proveniva dalla Russia ed è stato trasportato nel territorio ucraino. Dopo l’impatto, il sistema missilistico utilizzato per il lancio è stato trasportato di nuovo in Russia, lasciando la città di Pervomajs’k, quando ormai il Boeing 777, partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur, era un cumulo di rottami fumanti.
Ma la versione scricchiola e non solo per il fatto che quel dispositivo non è più usato dall’esercito di Mosca da anni e che per condurre l’investigazione siano state usate unicamente fonti e tecnologia ucraina. Al termine della conferenza stampa, infatti, il capo del Jit e procuratore olandese, Fred Westerbeke, dichiarava: “Abbiamo stabilito che l’arma è arrivata dalla Russia. Una volta stabilito questo, non stiamo però facendo dichiarazioni sul ruolo della Russia come Stato o di cittadini dalla Russia”. Il messaggio passato all’opinione pubblica attraverso i media, però, era un altro.
Ma non basta, perché stranamente sempre mercoledì altre due voci si sono alzate contro la Russia, questa volta in relazione alla Siria. La prima è stata quella di John Kerry, il quale ha minacciato di interrompere ogni contatto e cooperazione con Mosca sulla Siria, a meno che la Russia non ponga fine ai bombardamenti sulla città di Aleppo e si adoperi per il ritorno del cessate il fuoco. Nel corso di una conversazione telefonica con l’omologo russo Sergey Lavrov, il capo della diplomazia di Washington ha informato la controparte che “gli Stati Uniti si preparano a sospendere il loro impegno bilaterale con la Russia sulla Siria, in particolare la messa a punto di un centro congiunto” di coordinamento militare previsto dagli accordi firmati a Ginevra il 9 settembre scorso e di partnership nell’antiterrorismo. Mosca sarebbe disposta a una tregua di 48 ore, mentre Washington la vuole illimitata.
Fin dall’inizio dell’articolo vi ho parlato di tempistiche strane e sapete perché? Perché il giorno prima che emergesse questa messe di novità contro la Russia, in Germania quasi tutti i media avevano ripreso con enorme risalto l’intervista fatta dal giornalista Jürgen Todenhöfer ad Abu Al Ezz, comandante di unità di Jabhat al-Nusra ad Aleppo. E sapete cosa diceva? “Sì, gli Stati Uniti supportano l’opposizione in Siria, ma non direttamente. Loro sostengono la nazioni che supportano noi, ma noi non siamo soddisfatti di quanto stanno facendo. Dovremmo poter ricevere armamento più sofisticato, come i lanciarazzi multipli BM-21”. Insomma, hanno anche delle pretese.
Ma andiamo avanti perché il meglio deve ancora venire. “Noi combatteremo finché il regime non cadrà, vogliamo stabilire e creare un stato islamico che sia governato in base alla legge coranica, la sharia. Non riconosciamo nessuno Stato secolaristico”. A detta di Al Ezz, se anche le forze leali ad Assad partono in vantaggio perché dotate di aeronautica e lanciamissili, “noi ora possiamo fare affidamento sui missili TOW di fabbricazione Usa e la situazione, grazie a questi, in molte zone è sotto controllo”. Grazie Washington, insomma.
Diranno i più filo-atlantici: quelle armi erano destinate al Libero Esercito Siriano, i cosiddetti ribelli moderati che tanto piacciono alla Clinton e saranno state cedute o trafugate da questo ad al-Nusra. Balle. “No, i missili ci sono stati forniti direttamente… Quando siamo finiti sotto assedio, funzionari turchi, del Qatar, sauditi, americani e israeliani sono corsi in nostro aiuto. Esperti nell’uso dei satelliti, dei missili e nel riconoscimento termico dei bersagli”. Quindi, non solo Paesi dichiaratamente opachi verso il terrorismo e dichiaratamente sunniti, ma anche tecnici militari Usa e di Israele stanno prestando il fianco all’opera di un gruppo che vuole imporre la sharia in Siria e trasformarla in uno Stato islamico: strano atteggiamento da parte di chi piange ogni tre per due di essere vittima dell’estremismo islamico e, quindi, essere costretto a contrastarlo con le maniere forti.
“Gli Usa sono al nostro fianco”, ha dichiarato Al Ezz quando il giornalista tedesco gli ha chiesto se ci fossero istruttori militari Usa sul campo al fianco di al-Nusra. Ma non basta, mettetevi comodi che c’è da ridere (o da piangere, fate voi). Al Ezz, infatti, conferma che Jabhat Al-Nusra è stata pagata per raggiungere determinati obiettivi militari durante il conflitto siriano: “Abbiamo ricevuto 500 milioni di pound siriani (circa 2,3 milioni di dollari) dall’Arabia Saudita. Per catturare la scuola di fanteria ad Al Muslimiya un anno fa abbiamo ricevuto 1,5 milioni di dinari del Kuwait (circa 500mila dollari) e 5 milioni di dollari da Ryad. Il denaro arrivava dai governi di questi Paesi, non da privati”. In base alle logiche contorte dei neo-con occorrerebbe subito esportare un po’ di democrazia in Arabia e Kuwait, ma, chissà come mai, dubito che lo faranno. Anche perché oltre ai due appena citati, c’è anche Israele: “Israele ci sta offrendo supporto ora, perché Tel Aviv è in guerra con la Siria e con Hezbollah. Inoltre, molti governi occidentali ci hanno spianato la strada per farci arrivare in Siria, visto che abbiamo molti combattenti che arrivano da Germania, Francia, Gran Bretagna e anche Usa”.
E a proposito di cessate il fuoco, quello che Kerry vorrebbe a tempo indeterminato, nell’intervista Al Ezz ha confermato quanto denunciato da Mosca, ovvero che i miliziani anti-Assad hanno usato la tregua siglata da Russia e Usa il 9 settembre per preparare una nuova offensiva: “Noi non riconosciamo il cessate il fuoco. Lo utilizziamo per riorganizzare i nostri gruppi e posso dirti che nei prossimi giorni saremo pronti per un nuovo attacco contro il regime. Le nostre forze sono state riorganizzate in tutte le province, comprese Homs, Aleppo, Idlib e Hama”.
Poi, la frase fondamentale, calcolando che l’intervista è stata fatta in una caverna ad Aleppo il 17 settembre scorso, quindi ancora una volta il timing conta. “Jabhat Al-Nusra non lascerà passare convogli umanitari, né li farà entrare ad Aleppo fino a quando le forze del regime saranno lungo Castello Road, ad Al Malah e nelle regioni del Nord. Il regime deve ritirarsi da tutti i territori e allora faremo entrare in convogli. Se questi, invece, tenteranno comunque di entrare, li confischeremo e arresteremo l’autista”.
Questa frase veniva espressa dieci giorni prima dell’attacco contro il convoglio dell’Onu, per il quale il mondo intero ha puntato il dito contro le forze di Damasco e Mosca: come la mettiamo? Ora alle prove e alle evidenze radar e dei droni russi, si unisce anche l’ammissione di un capo brigata dei ribelli: sicuri che vi abbiamo detto tutta la verità su quel convoglio? Poi, le ammissioni finali. “Jabhat Al-Nusra è parte di Al Qaeda. La verità è che noi siamo insieme a un gruppo che è al fianco dell’Isis, ma lo stato islamico è stato usato in base agli interessi e alle finalità politiche di grandi potenze mondiali come gli Usa, così facendo ha deviato dai nostri principi. Molti dei leader dell’Isis stanno lavorando con i servizi di intelligence e ora questo è chiaro a tutti, noi per primi. Noi, come Jabhat Al-Nusra, abbiamo la nostra strada da percorrere”.
Avete letto o sentito sui media italiani un quarto di quanto vi ho detto, limitandomi a riportare una straordinaria intervista che è andata in onda ovunque in Germania e ripresa da Focus, il settimanale con più ampia tiratura? Scommetto invece che dell’aereo abbattuto in Ucraina e dell’ultimatum di Kerry a Lavrov avete letto e sentito ai tg. Sapete come si chiama questa? Propaganda. E di fronte a certi governi e certi media, occorre ammettere che Goebbels era davvero un dilettante. Occhi aperti, vi stanno prendendo per i fondelli sempre di più.