«Rispetto al 2011 ci sono differenze fondamentali. Allora non c’era più un governo, oggi sì e per farlo cadere bisognerebbe provocare una crisi ad hoc. Stavolta non c’è prospettiva politica e non c’è legge elettorale. Finirebbe con lo spread a 400. E con la gente in mezzo alla strada, non so se è chiaro». Parole e musica di Massimo D’Alema in una sdraiatissima intervista di Repubblica pubblicata ieri: d’altronde, il giornale edito dalla tessera numero uno del Pd non può certo permettere una frattura del partito proprio ora. Che bella cosa l’indipendenza della stampa, gli editori puri, la lotta alle fake news! Ora, l’ex premier è riuscito a dar vita a una frase perfetta per Repubblica: non contiene infatti una singola parola di verità, solo bugie.
Nel 2011 non c’era un governo? Perché, quello attuale reggerebbe senza il tacito patto del Nazareno 2.0 con Berlusconi (Gentiloni, tramite Calenda, copre Mediaset dalla scalata Vivendi e Forza Italia garantisce i numeri al Senato) o il poltronismo dei vari D’Alema e Bersani, gente che minaccia la scissione da tre anni, ma è sempre lì, pena cadere ancor di più e definitivamente nella residualità che li contraddistingue? Provocare un crisi ad hoc cosa significa? Non ci sono abbastanza motivi per andare alle urne, forse? Il voto referendario del 4 dicembre è stato forse un plebiscito a favore del cambio di poltrona tra Renzi e Gentiloni? O forse la sconfessione di un impianto di governo che l’attuale esecutivo sta pedissequamente riproponendo? Capisco che l’ego ipertrofico di D’Alema lo tranquillizzi quotidianamente riguardo la sua superiorità umana, politica e morale, ma non abbiamo proprio tutti l’anello al naso come i compiacenti giornalisti di Repubblica. Sappiamo guardare in faccia la realtà.
E poi cos’è questa novità, sono diventati tutti Brunetta, tutti ad agitare lo spettro dello spread? Guardate che lo spread a 200, con i conti pubblici che abbiamo, non è esattamente una tragedia, tanto più che c’è Draghi alle spalle che compra. Il problema è se Draghi smette di comprare a comando, ovvero proprio per fare alzare lo spread e metterci paura. Con la ratio debito/Pil al 132% e in continuo aumento, cosa vogliamo, lo spread a 15? Il differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi è un non indicatore, chiunque non sia in malafede e conosca minimamente la finanza lo sa: quando hai alle spalle una Banca centrale che acquista a prescindere dal tuo debito e ti finanzia di fatto le imprese, comprando bond corporate anche con rendimento negativo e rating di credito non investment grade, quel numerino non conta nulla. Serve solo ad agitare spettri come fa D’Alema per proprio tornaconto politico: elezioni anticipate o meno, se alla prossima riunione del board Draghi dicesse che smette di comprare, avremmo lo spread a 500 in una settimana. Anche con Gentiloni incollato alla poltrona con il Bostik.
E sapete perché? Ce lo ha detto proprio ieri la Banca d’Italia, quindi non una fonte complottista o populista: a dicembre sono tornate ad aumentare le sofferenze delle banche italiane, di poco, ma abbastanza da riportarsi dopo tre mesi sopra la soglia dei 200 miliardi di euro. Stando ai dati contenuti nel supplemento Moneta e banche, nell’ultimo mese del 2016 le sofferenze lorde in pancia al settore bancario erano pari a 200,869 miliardi di euro rispetto ai 199,062 miliardi di novembre. Un incremento è stato registrato anche per quel che riguarda il valore netto delle sofferenze, salite a 86,878 miliardi dagli 85,221 miliardi del mese precedente. Su base annua le sofferenze hanno registrato una flessione dello 0,7%, dopo il calo dell’1,7% di novembre. Correggendo il dato per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, il tasso di crescita sui dodici mesi è stato pari al’11,7% dopo il +11,8% di novembre.
E vogliamo parlare del credito, a fronte del diluvio di denaro che la Bce sta garantendo? Sul fronte del credito è confermata la crescita dei prestiti al settore privato: +1,1% annuo a dicembre, peccato che il dato sia corretto per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, dopo il +0,5% di novembre. Più nel dettaglio, il credito alle imprese è salito dello 0,2% dopo il dato invariato del mese precedente, mentre i prestiti alle famiglie hanno registrato un +1,9% (+1,8% a novembre). Per quel che riguarda la raccolta, a dicembre è proseguito l’aumento dei depositi del settore privato con un +4,9% su anno dopo il +4,4% del mese precedente, mentre è continuata a calare quella obbligazionaria con un -10,9% dopo il -9% di novembre.
Con una situazione bancaria simile, siamo proprio sicuri che lo spread salga solo per il rischio elettorale? Forse sale anche per qualcos’altro, ovvero per il vero problema del nostro sistema bancario: la stretta connessione che lo lega alla politica attraverso la detenzione di debito pubblico. Non a caso, le banche appena possono vendono, ma non basta, perché la cifra di partenza era talmente monstre da non permettere smobilitazioni stile pulizie di primavera, altrimenti lo spread va veramente a 400. A dicembre, per il sesto mese consecutivo, è infatti calato il controvalore dei titoli di Stato italiani detenuti dalle banche operanti nel Paese: sempre stando ai dati di Banca d’Italia, gli istituti di credito con base in Italia detenevano a fine dicembre titoli di Stato nazionali per 374,669 miliardi di euro rispetto ai 382,805 miliardi del mese precedente. Il calo ha interessato, in particolare, le posizioni sui Bot, passate a 13,920 miliardi dai 16,585 di novembre, quelle sui Btp, passate a 273,151 da 279,696 e quelle sui Ctz (a 14,110 da 14,525); in rialzo, invece, le posizioni su Cct (a 58,226 miliardi da 56,670).
Signori, stiamo parlando di un elefante nella stanza da 375 miliardi di euro per istituti che hanno a che fare, contemporaneamente, con 200 miliardi di euro di non-performing loans: la questione non è Gentiloni, caro D’Alema, perché questo governo ha davanti a sé, al massimo, un altro anno e poco più di vita prima di andare a scadenza naturale di legislatura. Volete dirmi che in 14 mesi l’esecutivo risolverà questa grana che mina l’intero sistema Italia? Lo shock eventuale di un voto non cambierebbe niente, se non per i soliti noti che vogliono governi di unità nazionale a oltranza, preferibilmente nominati e non votati: i manovratori ci tengono a galla. ma presentano il conto.
Perché pensate che in Francia lo spread stia salendo, quando fino all’altro giorno non c’era alcuna percezione di rischio imminente per Parigi e i suoi conti pubblici? Perché la Le Pen è in vantaggio nei sondaggi, lasciate che Fillon venga distrutto del tutto dallo scandalo dei rimborsi fittizi alla moglie e che Macron, uno benedetto dai Rothschild (avete notato come sia repentinamente e silenziosamente passato dal ruolo di signor nessuno e fondatore del partitino En Marche! a outsider addirittura per l’Eliseo in pochi mesi? Non vi pare strano?), diventi il candidato di punta della santa alleanza contro il populismo e vedrete che, a parità di condizione economica macro con quella attuale, lo spread renano tra Francia e Germania calerà come per magia.
Ormai, la politica a livello nazionale non conta più nulla, è pura amministrazione dell’esistente: chi conta sono la Commissione Ue e la Bce, il resto è contorno, sono addobbi per farci credere di vivere ancora in un regime democratico. Per quanto potrà andare ancora avanti questa pantomima, però? Per quanto Draghi potrà tenerci a galla, per quanto Schaeuble accetterà di limitare la sua ira funesta solo contro la Grecia, per quanto l’euro reggerà alle pressioni devastanti dello scontro valutario e commerciale che sta per partire in grande stile?
Con tutto il rispetto per Gentiloni, non è lui a decidere le sorti del Paese, né D’Alema: meglio prenderne atto e capire che ci sono solo due strade. Accettare il nostro ineluttabile destino o provare a cambiarlo, prendendoci dei rischi. Comunque sia, il default è solo rimandato: sicuri che valga davvero la pena di attendere nel braccio della morte Ue come tanti dead men walking?