Per decenni nella letteratura internazionale Cina e Francia sembravano i due estremi delle possibili politiche demografiche rispetto alla natalità: da un lato la Cina, con rigorosi interventi di controllo e di limitazione delle nascite, riassunte nella giornalistica definizione della “politica del figlio unico”, compresi periodi in cui sono state sterilizzate 2 milioni di donne all’anno (in modo più o meno volontario, come è facile immaginare in un regime tendenzialmente autoritario). All’estremo opposto, la Francia era portata ad esempio virtuoso come il Paese che aveva investito con maggiore coerenza, continuità ed efficacia su politiche di sostegno attivo alla natalità, con la leva del fisco (il quoziente familiare), asili nido, sostegno alla maternità e alla paternità, detrazioni, deduzioni, servizi ai genitori e per i bambini. Qui la nascita dei bambini veniva fortemente sostenuta dallo Stato (il figlio come bene pubblico), e anche a livello culturale una famiglia con tre o quattro figli non veniva considerata “irresponsabile”, ma semplicemente “da sostenere”, perché quei nuovi nati erano anche un investimento per l’intero Paese.
Decisiva, in entrambi i Paesi, si è dimostrata la continuità nel tempo: la Francia subito dopo la Seconda guerra mondiale, fin quasi ad oggi, con politiche pro-nataliste prioritarie nell’uso delle risorse pubbliche; la Cina, con una politica restrittiva introdotta in modo definitivo nel 1979, e portata avanti con coerenza e pervasività fino a pochi anni fa. Nell’un caso come nell’altro, questa stabilità nel tempo ha generato consistenti effetti in termini demografici: la Francia ha avuto una popolazione quasi in perfetto equilibrio demografico (ottenibile attorno al 2,1 figli per donna), e una crescita equilibrata della popolazione: la Cina, sul versante opposto, ha ottenuto un deciso rallentamento della crescita della propria popolazione, al punto che (dati ONU) proprio nel 2023 l’India è diventata la nazione più popolosa del pianeta, togliendo proprio alla Cina questo primato.
Questi ultimi anni però vedono un deciso cambio di strategia in entrambi i contesti, sulla base di una nuova presa di coscienza della realtà che si è generata: il governo cinese è deciso ad abbandonare definitivamente le politiche anti-nataliste finora adottate, perché lo squilibrio demografico che si è generato (troppi anziani, pochi bambini) mette la rischio lo sviluppo economico e sociale complessivo del Paese. Va anche ricordato un effetto collaterale drammatico – ed eticamente molto discutibile, ma per lungo tempo ignorato, vale a dire la selezione eugenetica di genere che penalizzava la nascita di figlie femmine (anche tramite un massiccio ricorso all’aborto selettivo delle figlie femmine), visto che un unico figlio per molti è diventato “deve essere maschio”. Ma questo ha generato uno squilibrio di genere, con un numero di giovani maschi significativamente superiore al numero di giovani femmine con cui poter costruire nuove famiglie.
Il caso francese invece dimostra come la tenuta della natalità sia sempre più fragile, negli ultimi anni, e che segnali anche deboli di disimpegno da parte dello Stato hanno impatti estremamente rilevanti: solo durante la presidenza Hollande (tra il 2010 e il 2020) e più recentemente con Macron la repubblica francese ha osato alleggerire il sostegno alla natalità (rendendo i sostegni meno consistenti e meno universalistici), ma questo ha generato quasi immediatamente un’accelerazione nel calo della natalità. Fino, appunto, a scendere sotto la soglia simbolica dei 700mila nati nell’anno. E lo stesso presidente Macron, in questi giorni, ha manifestato una decisa intenzione di rimettere risorse e sostegno – e quindi fiducia – nelle politiche di supporto alla natalità, confermando la convinzione che un armonico sviluppo della demografia (con nascite regolari e a livelli elevati) sia strettamente collegato allo sviluppo complessivo della Francia.
Cosa possono insegnare queste due recentissime vicende al nostro Paese? In primo luogo che, comunque la si pensi, e qualsiasi sia l’opzione politica o valoriale rispetto alla natalità (promozione o contrasto), nessun intervento potrà mai essere davvero efficace se non viene mantenuto nel lungo periodo. Purtroppo per troppi anni in Italia gli interventi sulla famiglia sono stati settoriali, per target selettivi e per periodi limitati: ma una giovane coppia che mette al mondo un figlio ha davanti a sé almeno 25 anni di responsabilità e di scelte, e quindi le sue scelte non possono essere sostenute con un bonus bebé, con una detrazione parziale dei costi, con misure condizionate dal reddito (tanto più se calcolato in modo penalizzante verso i carichi familiari, come fa l’ISEE). Se le istituzioni vogliono investire sulla natalità, devono offrire ai giovani strumenti e sostegni strutturali, permanenti, di lungo periodo, e consistenti rispetto agli oneri della cura del figlio (650 euro al mese, secondo le stime Neodemos del 2021). Assegno unico, Family Act e qualche recente misura dell’attuale Governo vanno in questa direzione: ma molto ancora c’è da fare.
Inoltre, per concludere, possiamo forse confrontare la reale sensibilità dei Governi nel nostro Paese (degli ultimi trent’anni) con un breve confronto statistico-demografico con la Francia (Paese molto più simile a noi di quanto non sia la Cina). In particolare: la Francia ha circa 67 milioni di abitanti, mentre l’Italia è appena scesa di poco sotto i 60 milioni, eppure i punti di allarme simbolici sul numero dei figli sono ben diversi: per l’Italia, dopo decenni di costante calo demografico, nel 2022 l’allarme è diventato forte e i riflettori si sono accessi quando il numero dei nuovi nati è sceso sotto la “fatidica” soglia dei 400mila nati, mentre per la Francia l’allarme natalità è suonato quando sono scesi sotto i 700mila nati ogni anno. Non c’è paragone, come del resto conferma anche un indice più preciso, il numero medio di figli per donna in età fertile, che in Italia è di poco superiore al 1,2 figli (da qualche anno), mentre in Francia “scende” (!) a 1,8 figli per donna (in calo). In altre parole, in Francia le donne mettono al mondo il 50% di figli in più, rispetto all’Italia, ma per la Francia questa soglia (che nel nostro Paese sarebbe un risultato strepitoso a favore delle nascite) impone a Governo e Presidenza della Repubblica urgenti e consistenti interventi per impedire il blocco della natalità.
Questo confronto ci dice che tuttora nel nostro Paese – e soprattutto per la classe politica dirigente – la consapevolezza dell’allarme demografia non è ancora adeguatamente forte, e le scelte politico-economiche in Italia tuttora privilegiano altri fattori di sviluppo e di equilibrio socio-economico, lasciando ancora risorse insufficienti per un reale rilancio della natalità. Oggi dobbiamo riconoscere che per fortuna il sostegno alla famiglia e alla natalità è qualcosa di più delle “poche briciole” dei venti-trent’anni precedenti. Ma non è ancora diventata una priorità sostanziale del sistema Paese. Questa però potrebbe essere una scelta miope, perché senza un deciso ricambio generazionale ed un consistente equilibrio tra le classi di età qualsiasi Paese è votato ad un sicuro declino; magari lento, magari poco visibile, ma certo e inesorabile.
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