Nel dibattito in corso sulla denatalità non si possono certo non considerare alcuni dati emersi in vari studi e recentemente rilanciati riguardanti l’aumento del desiderio giovanile di non avere figli (i cosiddetti childfree) e il fenomeno delle coppie dink (dual income no kids).
Nel primo caso il desiderio di vivere senza figli non è quello predominante nella Penisola, anche se va registrato un deciso aumento soprattutto a partire dalla pandemia: secondo i dati dell’Istituto Toniolo, infatti, la probabilità di dichiarare, rispetto alla domanda relativa al desiderio di fecondità, di volere un figlio da parte di persone tra 18 e 34 anni di età scende dal 95% del 2012 all’85% del 2022.
Il calo del desiderio è evidente dai due dati, ma rimane da comprendere quanto la pandemia abbia inciso e in che termini: se da un lato, infatti, la pandemia ha portato, ad esempio, a un’esplosione di disagi manifestati in indecisione, incertezza, paura e ansia (che si possono anche dedurre dall’aumento di persone richiedenti lo psicologo per la propria salute mentale) che possono incidere sui dati appena citati, dall’altro il Covid-19 e la conseguente crisi economica degli ultimi anni (derivante anche dalla guerra in Ucraina, dall’inflazione e dall’aumento dei prezzi energetici) possono avere inciso nella creazione di ostacoli superabili solamente tramite il non volere figli.
Da un terzo lato ancora va detto che la scelta di non volere figli rimane legittima e figlia della libertà delle persone: interessante notare, però, come tali persone vengono definite childfree e non childless, dando l’accento sulla libertà piuttosto che sull’assenza (anche se va detto che il secondo termine viene comunque utilizzato per coloro che vorrebbero avere figli ma non possono).
In ogni caso, c’è da interrogarsi su un altro dato emerso dagli studi: le persone che dichiarano di volere figli vogliono, nella maggior parte dei casi, che il proprio nucleo familiare sia composto da due bimbi, il che contrasta con i dati sempre più drammatici riguardanti la natalità: attualmente l’indice di fertilità è di 1,21 figli per donna, molto lontano da quanti desiderati.
Dunque, il desiderio di natalità è maggiore rispetto alla natalità effettiva, questo è il primo e principale problema: la questione relativa alla denatalità ha certamente un aspetto culturale anche, e non solo, derivante dalle fragilità mostrate con il Covid, ma dall’altro lato è figlia di una fragilità economica sempre maggiore, basti ricordare che la presenza di figli a carico è la seconda causa di povertà per le famiglie, subito dopo la mancanza di lavoro.
Esiste poi il fenomeno citato delle coppie dink, che rinunciano ad avere figli a carico nonostante abbiano due stipendi e la disponibilità economica per averli, una scelta fatta per avere una vita più appagante dal punto di vista del tempo libero e del lavoro. La premessa, anche in questo secondo caso, rimane la stessa: chi non vuole avere figli ha diritto a non averne. Questo fenomeno si lega strettamente con la questione della piena realizzazione di sé (cfr. Neodemos), come se essa dipendesse esclusivamente dai progetti individuali che, per funzionare, devono tenere conto solamente di sé senza aprirsi all’altro.
Il tema che questo fenomeno presenta è dunque quanto mai essenziale: cosa significa “realizzazione di sé?”. Questa rimane una tematica morale-culturale che non può essere risolta in poche righe, ma neanche con l’esaltazione di questo modello a discapito di chi i figli li vorrebbe, al contrario la risposta può essere data solamente a partire da un’ipotesi positiva sulla vita che va oltre sé stessi: “Forse non siamo al mondo per erigere un monumento a noi stessi, ma per donarci, e la pienezza che cerchiamo sta in questo” (M. Corradi, Avvenire, 2015).
Non esistono ricette precostituite per uscire dal tunnel della denatalità, né sarebbe appropriato fare un’opera di convincimento rispetto al 15% delle persone che vogliono appartenere ai childfree o alle coppie dink, serve piuttosto rimuovere gli ostacoli che fanno sì che la stragrande maggioranza delle persone (l’85% citato poco sopra) possa essere in grado di fare i figli desiderati. Già questo mitigherebbe le conseguenze disastrose che la denatalità già adesso ci sta portando.
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