Un investigatore che è stato uno dei protagonisti delle indagini sulla scomparsa di Denise Pipitone ha deciso di parlare di alcune anomalie. Lo ha fatto a ‘Ore 14’ chiedendo però di restare anonimo. In primis ha preso le difese della sua squadra: “Lo sappiamo noi quello che abbiamo fatto. Non dormivamo, non mangiavamo. Qualcuno ha rovinato il matrimonio. Qualcun altro è stato minacciato di morte ed è finito sotto scorta. Noi lavoravamo 24 ore al giorno e senza sosta”. Poi entra nel merito delle indagini. “Nella prima fase le cose andavano bene, secondo la nostra idea che vedeva coinvolti Jessica e Ghaleb, una cosa iniziata come una ragazza che poi è diventata troppo grande”. Poi però la situazione è cambiata. “Non abbiamo capito più niente, c’erano troppe persone e la Procura della Repubblica non è riuscita a coordinare tutte queste persone”. Dunque, per questo investigatore è mancato il coordinamento. A proposito delle intercettazioni, aggiunge che “venivano condotte da uffici diversi appartenenti a comandi diversi e a corpi diversi”.



DENISE PIPITONE, LE “SCOLLATURE” NELLE INDAGINI

Una tesi confermata da Francesco Lombardi, luogotenente dei carabinieri in pensione. “Le scollature ci sono state, dovute a tanti reparti sul campo. Probabilmente non sono stati sufficientemente coordinati, soprattutto nel primo mese. Qualche scollatura c’è stata ed è stata pure evidente”, dice a ‘Ore 14’. Ma parla anche di depistaggi, come la segnalazione sul numero telefonico usato da Anna Corona che non è stato prontamente segnalato dall’operatore che stava seguendo le intercettazioni sul caso di Denise Pipitone. “Questo lascia pensare che le cose potevano essere fatte volontariamente”. Invece su Jessica Pulizzi spiega che aveva riferito inizialmente un numero di telefono che non era in uso a lei se non per sporadiche telefonate. “Non fornì quello con cui si sentiva quotidianamente con la famiglia, questo ha portato ad un ritardo nelle intercettazioni”.



“CLAUDIO CORONA TOGLIEVA LE CIMICI…”

Il compito di questo investigatore anonimo, comunque, era scoprire cosa avessero ascoltato o dedotto le altre forze dell’ordine. “Ma ci nascondevamo l’uno con l’altro le informazioni. Era un delirio”, rivela a ‘Ore 14’. Il problema vero era che “tra di noi non ci potevamo fidare l’uno dell’altro”. Tornando alle intercettazioni, ricorda che i condizionatori nel commissariato erano degli anni ’70. “E dove le finestre erano aperte c’erano anche 300 macchine. Alle finestre poi c’erano vetri sottilissimi, ecco perché spesso sono incomprensibili”. A proposito di Claudio Corona, invece, rivela che lo conoscevano bene. “Veniva chiamato come esperto per la rimozione delle cimici che là noi installavamo nei locali frequentati dagli indagati. I suoi amici lo chiamavano quando avevano il sospetto di essere intercettati”. L’investigatore racconta che Claudio Corona arrivava con la sua attrezzatura. “Si era specializzato nel trovare le microspie”. L’investigatore usa poi un’espressione di Mazara del Vallo: “È amico degli amici. Significa che veniva chiamato da Tizio e Caio per risolvere i problemi”.

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