Walter ha 13 anni e si trova improvvisamente, senza gli indispensabili “strumenti” della maturità, ad affrontare la difficile perdita del padre (Claudio Santamaria), gangster pentito della periferia di Roma. Al suo fianco sua madre (Virginia Raffaele), provata oltremodo dal lutto e disarmata dal dolore.
Un giorno, nel suo complicato viaggio per crescere, Walter si ritrova in un’imponente villa con piscina, semi-abbandonata. Giusto il tempo di un tuffo per rendersi conto che la piscina è occupata da uno squalo. Vero, affamato e minaccioso. A custodirlo c’è Carlo, un po’ più grande di lui, sedicente custode della villa e bullo di periferia alle prime armi. Dopo un’iniziale diffidenza, i due fanno amicizia nei loro incontri quotidiani fatti di racconti, confidenze e leggende metropolitane, finché non si ritroveranno nelle maglie della malavita locale.
A sostenere, in partenza di trailer, la curiosità per il film è la firma degli stessi produttori di Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, tra i quali compare anche Gabriele Mainetti, che di questo film non firma però la regia. Alla macchina da presa troviamo Davide Gentile, al suo primo lungometraggio. (Quasi) giovane regista, premiato tra Cannes e Venezia per i suoi cortometraggi, diplomato in montaggio alla scuola civica di Milano e regista di spot pubblicitari per Bmw, Vodafone e Durex.
Una curiosità, di cui si parlava poco sopra, che si spegne presto di fronte a una storia piuttosto scontata che mescola i generi senza rappresentarne degnamente nessuno. Un po’ fiaba, un po’ storia di formazione, un po’ gangster movie, un po’ avventura, un po’ dramma e un po’ commedia. Un accenno di tutto che produce poco di memorabile e originale, nonostante la presenza del grande predatore in piscina. Un animale tecnologicamente ben realizzato, da decenni protagonista iconico del cinema hollywoodiano, lo squalo di questo film accompagna la crescita di Walter che, nel prendersene cura, ritrova pian piano la serenità instabile di un’adolescenza privata del padre.
Ha un bel faccino Walter, interpretato da Tiziano Menichelli (per la prima volta sullo schermo). Uno sguardo puro, un’espressività variabile, una fisicità che chiede protezione, ma i dialoghi recitati all’italiana non nobilitano la sua prova e nemmeno quella dell’amico maggiore, borgataro tatuato con il mito della delinquenza. Fragile bullo di periferia, leone coi deboli e agnello con chi alza la voce. Omaggio depotenziato e inconsistente ai Gomorra e ai Mare fuori, italiche produzioni di successo in grande spolvero di pubblico.
Lontano due ere geologiche dalle eccellenze del genere, Denti da squalo si accomoda nell’archivio delle fiction italiane al cinema, sacrificando in pochi minuti la sua credibilità all’apparire delle molte, anzi troppe, rappresentazioni stereotipate del coro dei tutti. Bidimensionali, dalla voce romana e dall'”attitude” macchiettistica.
Avventura per ragazzi, morbida violenza, realismo favolistico di scarso pregio che ci tuffa per bene nei ritmi sospesi dell’estate, della noia del nulla, nel tempo rarefatto in cerca di qualcosa da raccontare.
Tra gli altri c’è anche Virginia Raffaele, voce altisonante della comicità italiana, prestata al cinema di poche battute, mamma disperata e rianimata dopo la perdita del marito e l’imprevedibilità del figlio che vuole che crescere. Bravina.
In fondo in fondo, in Denti da squalo, non si trova nulla di così ostico, nell’ora e quaranta di film, e nemmeno nulla di così memorabile.
Cinema estivo. O televisione al cinema. Oppure B-movie, con pretesa autoriale abortita. Dateci di più, la pandemia è finita da tempo.
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