Come accade ogni volta all’inizio del mese di marzo l’Istat ha rivisto i dati sull’andamento del Pil nell’anno precedente, rettificando la precedente stima, pubblicata a fine gennaio in occasione dell’uscita dei dati relativi al IV trimestre. Questa volta la rettifica è al ribasso in quanto il Pil reale nel corso del 2022 sarebbe aumentato del 3,7% rispetto al 3,9% annunciato un mese fa. In termini nominali, dunque ai prezzi di mercato, è risultato pari a 1909,2 miliardi di euro, con un incremento del 6,8% rispetto al Pil nominale dell’anno precedente.



Riguardo alle componenti della domanda aggregata, l’incremento reale dei consumi finali nazionali è stato del 3,5% mentre quello degli investimenti fissi lordi del 9,4%. A loro volta, per quanto riguarda i flussi con l’estero, le esportazioni di beni e servizi sono salite del 9,4% e le importazioni dell’11,8%. L’incremento della domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito positivamente alla dinamica del Pil per 4,6 punti rispetto ai 3,7 totali, mentre lo 0,9 negativo che ha portato al secondo dato, deriva da un apporto della domanda estera netta negativo per 0,5 punti, conseguente alla maggiore dinamica dell’import rispetto all’export, e da quello, altrettanto negativo, relativo alla variazione delle scorte per 0,4 punti. In sostanza una parte della maggior domanda è stata soddisfatta da scorte preesistenti che si sono in conseguenza contratte.



Riguardo alla domanda nazionale la crescita del 4,6% è da attribuirsi per 2,7 punti ai consumi finali nazionali, cresciuti in termini reali del 3,5% rispetto all’anno precedente, e per i restanti 1,9 punti agli investimenti fissi lordi, aumentati del 9,4% rispetto al 2022 dopo il +18,6% del 2021. Gli investimenti hanno visto aumenti generalizzati in tutte le loro componenti: +11,6% gli investimenti in costruzioni, trainate dalle agevolazioni fiscali, +8,6% i macchinari e attrezzature, +8,2% i mezzi di trasporto e +4,5% i prodotti della proprietà intellettuale.

All’interno dei consumi finali la spesa per consumi delle famiglie residenti è cresciuta in termini reali del 4,6% (in linea col 4,7% del 2021), mentre è rimasta invariata quella delle Amministrazioni pubbliche e cresciuta del 9,8% quella delle Istituzioni sociali private (ISP). Sul territorio economico la spesa per consumi di beni, inclusa dunque quella degli stranieri ospiti, è aumentata del 2,4% e quella per servizi dell’8,8%. Gli incrementi più rilevanti hanno riguardato le spese per alberghi e ristoranti (+26,3%, un autentico boom nel dopo Covid), quelle per ricreazione e cultura (+19,6%, anche qui grazie alle riaperture post-Covid) e per vestiario e calzature (+14,8%, in sostituzione dei guardaroba invecchiati durante i lockdown). Variazioni negative invece nelle spese per alimentari e bevande (-3,7%, dunque si è consumato di meno in casa e di più nei ristoranti), per servizi d’istruzione (-1,2%) e per servizi sanitari (-0,4%).



Dal lato dell’offerta a trainare la crescita è stato soprattutto il valore aggiunto delle costruzioni, che ha registrato un aumento in termini reali del 10,2%, e quello del comparto dei servizi, con una crescita del 4,8%. Hanno invece registrato dinamiche negative l’agricoltura, silvicoltura e pesca, con un -1,8%, e, seppur di poco, l’industria in senso stretto con un -0,1%. Nel settore dei servizi aumenti particolarmente rilevanti si sono registrati nei comparti del commercio, trasporti, alberghi e ristorazione (+10,4%), delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, in netta ripresa dopo il Covid, della riparazione di beni per la casa e altri servizi (+8,1%) e delle attività immobiliari (+4,5%), mentre sono risultate in calo solo le attività finanziarie e assicurative (-3,2%).

Sempre ieri, in contemporanea col Pil, l’Istat ha anche reso noto l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche (AP), termine tecnico col quale si intende l’assai più noto disavanzo pubblico. In rapporto al Pil nel 2022 esso è stato pari all’8,0%, a fronte del 9,0% del 2021, anno tuttavia per il quale l’Istat ha ora provveduto, allo stesso modo che per il 2020, a una significativa revisione al rialzo, dettata dai cambiamenti nei criteri contabili introdotti su indicazione dell’Eurostat in relazione alla contabilizzazione dei crediti di imposta generati dalle agevolazioni edilizie (110% e bonus facciate in particolare).

Mentre infatti nel passato tali crediti davano luogo a minori entrate fiscali, diluite in un arco temporale elevato e che venivano conteggiate in tali anni, coi nuovi criteri l’onere da essi generato per la finanza pubblica è invece conteggiato nel periodo in cui si forma il credito e contabilizzato in unica soluzione come maggiore uscita in conto capitale. Ai cambiamenti generati da questa riclassificazione dedicheremo però una nota di approfondimento nei prossimi giorni. Sempre nello scorso anno il saldo primario, ovvero il saldo dei conti pubblici che non include la spesa per interessi sul debito è stato pari negativo e pari al -3,7% in rapporto al Pil, in netto miglioramento rispetto al -5,5% del 2021.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI