L’Italia non può essere più acclamata come Bel Paese. Da oggi, in concomitanza del già iniziato nuovo anno, il precedente nomignolo deve mutare immediatamente. Si tratta di un atto dovuto, un aggiornamento obbligato e obbligatorio visto le recenti evidenze economiche (positive) che si sono inanellate nelle scorse giornate.



Sulla base di queste ultime, nel nostro piccolo, possiamo associare alla penisola italica un più boccaccesco e realistico “Italia, il Paese di Bengodi”, poiché la sensazione, seppur unicamente di natura soggettiva, sembra essere quella. Un’Italia che ha ritrovato un proprio smalto dimenticato, un Paese che di stivale ha ben poco, ma che, invece, sfoggia una parvenza riconducibile a una più audace (forse spregiudicata) décolleté con tacco: forse, non ancora da tacco dodici, ma sicuramente sulla buona strada. Nonostante il nostro voluto sarcasmo, la verità dei fatti pare essere (non sia) questa. In Italia, o nel Bel Paese o nel Bengodi che sia, il benessere è arrivato. Vediamo (vedremo).



A metà dicembre Istat ha diffuso i dati relativi al mercato del lavoro (rif. III trimestre 2023) e, senza alcun dubbio, i rilievi sono positivi: occupazione ancora in aumento (61,5%), numero di disoccupati stabile con un livello di disoccupazione nella parte bassa (7,6%) della sua serie storica e soggetti inattivi in diminuzione al 33,3%. Sempre a dicembre Istat ha pubblicato la fiducia dei consumatori e delle imprese che, rispettivamente, hanno registrato una crescita a 106,7 (da 103,6) e 107,2 (da 103,5) punti. Questo il commento dell’Istituto nazionale di statistica: «A dicembre, il clima di fiducia delle imprese torna ad aumentare dopo quattro mesi consecutivi di riduzione e raggiunge il livello più elevato dallo scorso luglio. L’aumento dell’indice è determinato dal comparto dei servizi e da quello delle costruzioni. L’indice di fiducia dei consumatori aumenta per il secondo mese consecutivo e si riporta, anch’esso, sul livello di luglio 2023. Si segnala un generale miglioramento di tutte le variabili che compongono l’indicatore ad eccezione dei giudizi sull’opportunità di risparmiare nella fase attuale, che rimangono sostanzialmente stabili rispetto al mese scorso». Si commenta da sé. Nulla d’aggiungere. Ben tornato, benessere.



Arriviamo a queste ultime ore. Ancora Istat. Ancora benessere. Il commento: «Prosegue a dicembre, secondo le stime preliminari, la fase di flessione dell’inflazione, scesa a 0,6% dall’11,6% del dicembre 2022». Praticamente un crollo (positivo) da record.

Sempre ieri, sempre Istat (che ringraziamo sinceramente per i suoi puntuali e costanti aggiornamenti) ha trattato il delicato tema dei nostri conti pubblici e, attraverso il consueto rapporto “Conto trimestrale delle AP reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società“, ha evidenziato come «Nel terzo trimestre del 2023 il quadro di finanza pubblica mostra un indebitamento in miglioramento e una pressione fiscale in diminuzione rispetto al terzo trimestre dell’anno precedente. Il potere d’acquisto delle famiglie, dopo la brusca caduta del quarto trimestre 2022, prosegue la ripresa. Tale ripresa, iniziata nel primo trimestre 2023, era stata interrotta dalla lieve flessione del trimestre successivo; la stessa dinamica si osserva per la propensione al risparmio, che tuttavia rimane molto al di sotto dei livelli pre-Covid».

Volutamente terminiamo qui il rimando al Commento tralasciando i dati (in flessione) concernenti le cosiddette società non finanziarie.

Osservando i numeri delle cosiddette Amministrazioni Pubbliche (AP) si rileva che nei primi nove mesi del 2023 hanno registrato un indebitamento netto pari al -7,1% del Pil ovvero in miglioramento rispetto al -8,8% del corrispondente periodo del 2022. Complessivamente è un buon dato.

Ora, invece, diamo la parola alle famiglie consumatrici che nel terzo trimestre 20223 hanno avuto un reddito in aumento, una spesa maggiore poiché pagata meno e, udite, udite, anche risparmiato (addirittura). Dire benessere è dire poco. Leggiamo: «Nel terzo trimestre 2023 il reddito lordo disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato dell’1,8% rispetto al trimestre precedente. A fronte di un aumento del deflatore implicito dei consumi pari allo 0,5%, il potere d’acquisto è aumentato dell’1,3%». Continuando: «Nel terzo trimestre 2023 la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari al 6,9%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Tale aumento deriva da una crescita nominale della spesa per consumi finali meno sostenuta rispetto a quella registrata per il reddito lordo disponibile (+1,2% e +1,8%, rispettivamente, in termini nominali)».

Dopo queste note potremmo certamente affermare Bel Paese scansati che arriva Bengodi, ma, secondo il nostro modesto parere, non è ancora giunto il momento. Infatti, andando oltre al semplice (e facile) riscontro delle varie considerazioni finora esposte sorge una “piccola”, ma, allo stesso tempo, molto significativa cifra: 19.011 milioni di euro. A questo importo, nonostante non vi sia alcuna traccia quale specifico commento, vorremo dire la nostra.

Si tratta della tanto e temuta voce “Interessi passivi” che, nell’aprile scorso, non ci ha proprio convinti. Di per sé, questi 19 miliardi di euro potrebbero rappresentare un’inezia, ma se raffrontati ai loro valori storici una qualche perplessità (preoccupazione) sovviene. Infatti: rispetto al terzo trimestre dello scorso anno (18.637 milioni) risultano in aumento, così come, rimanendo sempre al terzo trimestre degli anni scorsi, consultando l’intera serie (dal 2010) messa a disposizione da Istat (rif. Tavola 4.1a) si possono osservare solo cifre inferiori che, pertanto, confermano i “solo” 19 miliardi quale nuovo record (negativo).

Questo, sinceramente, non può essere considerato benessere. Tutt’altro. Forse ci sbaglieremo e, anzi, ci auguriamo che questo unico nostro appunto (come detto negativo) possa rappresentare un abbaglio isolato e senza alcuno strascico futuro. Lasciamo, quindi, spazio alle sole e recenti notizie positive, prive di ogni possibile tensione e orientate a un sano ottimismo. Il benessere, appunto.

Ieri, su queste pagine, parlavamo di abbuffata di debito (a caro prezzo) dello Stato Italia. Oggi, potremmo ancora parlare di abbuffata, ma, da parte degli italiani. Verosimilmente si tratta di una forma di benessere anche questa. Guardatevi attorno. Osservate le targhe dell’automobili che vi circondano. Molte, moltissime, sono le nuove immatricolazioni. Solo ieri si leggeva la lettera iniziale “F”, mentre, oggi, invece, potremmo quasi scorgere le prime “H”. Se questo non è benessere, cos’altro è? Addio Bel Paese. Ben arrivato Bengodi.

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