Assolombarda ha reso pubblici i dati della survey sull’andamento economico della Lombardia per il primo trimestre dell’anno in corso. Come potevamo immaginarci, il segno positivo sulla situazione dell’industria manifatturiera lombarda è quello prevalente. Già l’indice di fiducia raccolto a fine anno fra gli imprenditori andava in questo senso e i numeri ne danno conferma.



La fiducia nella crescita è ancora positiva per i prossimi mesi e lo diventa anche per il settore dei servizi.

La crescita della produzione manifatturiera è dell’8,7% rispetto al primo trimestre del 2020 e anche il settore dei servizi (riferito a tutto il nord ovest) registra un aumento del 3%. Con questi dati la Lombardia si conferma “la locomotiva” d’Italia dato che la crescita manifatturiera nazionale è quasi della metà inferiore a quella lombarda e la crescita dei servizi ha ancora un segno negativo, per lo più dovuto al -46% dei servizi turistici.



Questi risultati positivi non devono però tranquillizzarci per quanto riguarda il sistema complessivo. Il confronto con le regioni europee tradizionali competitor della Lombardia ci indica che la strada della crescita è ancora in salita. Guardando al dato medio del 2019 si scopre che siamo ancora lontani dai risultati economici pre-pandemia. La differenza per la produzione manifatturiera è del -3,8% a livello nazionale, è al -2% circa per la Lombardia, ma è molto più basso il divario del Baden-Württemberg (-1,6%) e della Catalogna (-1,2%).

Nella survey di questo trimestre vi è un approfondimento dedicato all’occupazione giovanile. L’impatto della pandemia ha azzerato i risultati positivi che le politiche pro formazione professionale e pro sistema duale avevano conseguito nel fare scendere il numero di giovani Neet. Il dato non può non preoccupare. L’occupazione giovanile, fascia di età 15-24 anni, è in regione ferma al 21,6% nel 2020. Il confronto con il 51% del Baden-Württemberg indica la distanza che resta da colmare. Anche se il dato è parzialmente falsato dal considerare occupati anche i giovani che sono in formazione col sistema duale tedesco, resta un divario molto forte che indica come il più grave mismatching del nostro mercato del lavoro riguarda il percorso scuola-lavoro, ossia il primo ingresso dei giovani al lavoro.



L’anno del lockdown ha riportato il tasso di disoccupazione giovanile a superare il 19%, ben 15 punti in più della regione tedesca. Non può consolarci il confronto con il drammatico 34% della Catalogna. L’incremento dei giovani che risultano fuori dal mercato del lavoro e non più presenti in percorsi scolastici o formativi è stato di tre punti in un solo anno portando al 15,7% il dato lombardo.

La situazione della Lombardia, ossia della regione italiana più sviluppata e più inserita nei cicli internazionali, ci mostra, all’avvio del periodo di utilizzo delle risorse europee destinate alla ripartenza, alcuni punti critici che pesano su tutto il nostro sistema economico.

Il primo dato cui badare è il minore tasso di crescita anche in fase espansiva. Come già sottolineato da molte parti, noi abbiamo avuto una caduta prolungata della produttività più contenuta nell’industria ma pesante su servizi, Pa e infrastrutture. Se si vuole che il moltiplicatore degli investimenti previsti sia massimo si deve prioritariamente intervenire per togliere di mezzo tutto ciò che porta a limitare la crescita della produttività del sistema Italia. Digitalizzazione, grandi infrastrutture e una Pubblica amministrazione al servizio delle sviluppo (perché è utile se sostiene i desideri dei cittadini, non è stata fatta per controllarli) sono passaggi prioritari per liberare il sistema da freni storici.

Altrettanta decisione serve nelle scelte relative al lavoro. Come messo in luce dai dati lombardi, che sono fra i migliori relativamente alle regioni italiane, per aumentare in modo strutturale il tasso di occupazione complessivo si deve partire dal creare un sistema di ingresso al lavoro per i giovani che corregga l’assenza di un forte sistema di formazione professionale e di un contratto di inserimento al lavoro (contratto di lavoro, non stage o tirocini sottopagati) che favorisca l’investimento in competenze fatto dal giovane e dall’impresa.

È evidente che il primo banco di prova sarà la capacità di programmi che portino a un drastico calo dei Neet. Ma più che inventarci programmi specifici, scollegati dalle politiche di sistema, dovremmo introdurre un diverso approccio. Quando un servizio funziona bene è perché tutti trovano soddisfazione. Che poi ci siano prezzi differenziati per fascia di reddito o attenzioni diverse a seconda delle preferenze di ciascuno non è in discussione l’unicità del sistema. Noi invece, per un diritto fondamentale come il lavoro, paragonabile per importanza alla salute, non abbiamo un sistema di politiche attive che aiutino tutti a trovare occupazione. È come se, per rimanere all’esempio dei diritti, avessimo ospedali diversi a seconda delle malattie, che funzionano diversamente per età, sesso o territorio di residenza.

Qui serve subito il coraggio di archiviare il passato e far sì che una nuova governance Stato-Regioni dia vita a un modello di intervento con politiche attive che assicurino un cambio di passo: dalla transizione scuola-lavoro alla formazione lungo tutto l’arco della vita lavorativa, per assicurare a tutti occupabilità e stabilità nelle transizioni da lavoro a lavoro.