In base alle stime preliminari dell’Istat rese note ieri, il Pil reale dell’Italia, destagionalizzato e corretto per gli effetti del calendario, si è fermato nel trimestre estivo sullo stesso livello del precedente. La variazione percentuale risulta infatti nulla, mentre rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente la crescita è solo dello 0,4%, in diminuzione rispetto allo 0,6% del trimestre primaverile. In realtà, se osserviamo i valori monetari vi è stata una leggera riduzione, ma non tale da far scattare, grazie all’arrotondamento, il segno meno.
La battuta d’arresto si è verificata dopo due trimestri, quelli della prima metà dell’anno, che si erano rivelati discreti ancorché non eccezionali, con una crescita rispettivamente dello 0,3% e 0,2%. In precedenza, invece, non vi era più stata una crescita significativa dopo lo 0,6% del terzo trimestre 2022, con due valori negativi, nel quarto trimestre del 2022 e nel secondo del 2023, subito compensati nei due trimestri seguenti, con l’anno che si era infine chiuso con una crescita nulla nell’ultimo trimestre.
Rispetto al terzo trimestre del 2022, il Pil reale attuale è solo dello 0,5% più elevato, risentendo in negativo della fine degli incentivi agli investimenti energetici nell’edilizia e non risentendo invece in positivo degli effetti che avrebbero dovuto essere generati dagli investimenti finanziati col Pnrr. La variazione acquisita per il 2024, il valore a cui si fermerebbe il dato annuo nell’ipotesi di crescita nulla anche nel quarto trimestre, è pari allo 0,4%.
La variazione congiunturale nulla del Pil deriva da una lieve diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, e da una riduzione invece rilevante, ma dall’Istat al momento non quantificata dell’industria, in cui ricordiamo è compreso il settore delle costruzioni, ambedue compensate dall’aumento che ha riguardato i servizi, settore che comprende il turismo. Dal lato della domanda vi è invece un contributo positivo della componente nazionale al lordo delle scorte (consumi privati, consumi collettivi e investimenti) e un apporto negativo della componente estera netta (export meno import).
I Paesi dell’area euro hanno fatto nel loro insieme nettamente meglio dell’Italia, con una crescita congiunturale dello 0,4% e tendenziale dello 0,9%, nonostante il segno meno che interessa il tendenziale di alcuni Paesi: in primo luogo la Germania (-0,2%), ma anche l’Austria e l’Irlanda (rispettivamente -0,1 e -0,2%), l’Ungheria (-0,7%) e la Lettonia (-1,4%). Anche la Svezia, che non adotta l’euro, è in negativo (-0,2%). In positivo invece il Belgio (1,0% tendenziale), la Francia e la Repubblica Ceca (1,3% in entrambe), il Portogallo (1,9%) e soprattutto la Spagna, con un eccezionale 3,4%.
Ma cosa può aver portato così in alto la Spagna se non il turismo? E perché non anche l’Italia? Cercheremo di capirlo in un prossimo articolo.
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