Eh, niente. I supereroi esistono solo nei film della Marvel. SuperMario è solo il personaggio di un vecchio, glorioso videogioco. Ma per trasformare l’Italia negli Stati Uniti d’Europa non basta. Mario Draghi è senza ombra di dubbio il Premier più autorevole che l’Italia potesse darsi in questa fase di crisi devastante ma non ha “i pieni poteri” a vario titolo bambinescamente vagheggiati e rivendicati dai vari Berlusconi, Renzi, Salvini e in fondo perfino Conte.



Per questo lo scostamento di bilancio da 40 miliardi deciso ieri dal Consiglio dei ministri per finanziare la ripresa è tantissimo, pareggia o quasi, in un sol colpo, gli stanziamenti del Conte 2, eppure rispetto alla montagna di guai che ci sovrasta potrebbe sembrare un topolino.

Per una metà verrà destinato alle imprese, per aiutarle a ripartire, e nei prossimi giorni si vedrà meglio in che modo. Per l’altra metà finanzierà la sopravvivenza delle famiglie. Ma certo, non è un colpo di bacchetta magica. La debolezza cronica accumulata in trent’anni di malgoverno delirante di quell’asse impropria tra Procure e populismi non si guarisce senza un miracolo, ma di quelli veri, soprannaturali. E per i miracoli SuperMario si sta ancora attrezzando.



È questa la ragione della complessiva serpeggiante insoddisfazione, di quell’amaro in bocca che gli annunci di ieri lasciano un po’ a tutti, anche a chi – impettito nel ruolo – non lo ammetterebbe neanche sotto tortura. I pieni poteri non ce l’ha né Mario Draghi, né nessun Premier nazionale, e non ce l’hanno nemmeno le fibrillanti istituzioni europei. I pieni poteri li dette il famoso “articolo quinto” del proverbio: “Chi ha i soldi ha vinto”. E i soldi li hanno, o meglio li stampano, le banche centrali: fin quando i mercati glielo permettono. E a oggi questo permesso ha un raggio d’azione limitato.



Quando Draghi il 25 marzo del 2020 scriveva sul Financial Times che “livelli di debito pubblico molto più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato” era un intellettuale assai versato in economia che esponeva un suo ideale. Oggi, quando rassicura che il rapporto deficit/Pil tornerà a scendere sotto il 3% nel 2025 – domani! – è semplicemente un rigoroso uomo di governo che rispetta le leggi pensate molti anni prima della pandemia.

Ma veniamo alle misure salienti decise ieri. Il Def illustra come il debito pubblico arriverà al 159,8%, che è il livello più alto degli ultimi 100 anni, dopoguerra compreso. E il deficit annuale appunto all’11,8%. Un’enormità rispetto a quel che blateravano i tedeschi appena 5 anni fa, che il debito di tutti i Paesi dell’Eurozona dovesse scendere al 60% del Pil. Eppure c’è da chiedersi se basterà.

I 40 miliardi in più stanziati dal Governo andranno per oltre la metà alle imprese e per il resto a finanziare le perdite dei cittadini, dare una mano ai giovani – per esempio con nuovi sconti fiscali sui mutui per la prima casa. Nessun annuncio sulle misure che verranno per tenere comunque i conti sotto controllo, salvo un gossip incendiario, che cioè il Governo avrebbe in animo da alzare dal 15% al 23% l’aliquota fiscale della flat-tax sulle partite Iva, l’unica misura significativa ottenuta dalla Lega durante il Conte 1 che verrebbe quasi azzerata, il che ha già fatto sollevare gli scudi al partito di Salvini: si vedrà. Si dovrà vedere, perché la linea del Governo resta quella del rigore cara ai parametri di Maastricht. Poi, certo: c’è da sperare che il Draghi che per primo blocca l’export di una partita di vaccini diretta oltre-Europa perché la ditta produttrice ha violato gli impegni con l’Unione; che andando a trovare il leader libico come primo atto internazionale si conferma superambasciatore degli Usa in Europa; che per la stessa ragione dà del dittatore a quel dittatore di Erdogan, beh: questo Draghi che si fa rispettare ci accende la speranza che sappia dettare lui la riscrittura delle regole “idiote” (copyright Romano Prodi) che da Maastricht in poi soffocano l’Europa mentre gli Usa galoppano.

Però ricordiamoci cosa prova quanto sta accadendo: che nemmeno Mario Draghi è Supermario. E dunque il ministro Franco, fedele interprete della linea, pur dicendo che le regole Ue in prospettiva devono “essere riviste”, assicura che la riduzione del debito “resta la bussola” del Governo.

Per fortuna il debito e il deficit si riducono anche alzando il denominatore del rapporto, cioè la crescita economica, che quest’anno sarà spinta oltre il 4,1% tendenziale, di cui da solo il prossimo decreto rappresenterà lo 0,6%. Per le riforme, ingenuamente richieste dall’Ue e furbamente promesse dal Conte 2 e confermate da Draghi, si aspetterà: il secondo semestre di quest’anno, semestre bianco protetto dal rischio elezioni, per la riforma fiscale su cui ci saranno scintille con la componente di destra della maggioranza; e le calende greche per la riforma dell’irriformabile giustizia.

Il conteggio del totalizzatore impressiona. Il perimetro del Pnrr sarà di 222 miliardi, di cui 169 aggiuntivi rispetto alla programmazione esistente. A tali risorse si aggiungeranno 15 miliardi provenienti dalle altre componenti del Next Generation Eu, come il React Eu: in totale si arriverà quindi a 237 miliardi.

Invece, nell’immediato, come sarà spesa la componente dei nuovi sostegni provenienti dal nuovo scostamento di deficit, quindi oltre 20 miliardi? Non si sa ancora. Il dibattito sul meccanismo è aperto: ci si riferirà al fatturato perso o si guarderà a tutto il bilancio? Si saprà entro aprile. Si sa che il nuovo decreto coprirà i in parte costi fissi delle imprese bloccate dalle bollette agli affitti e le moratorie sui crediti oltre a una serie di rinvii o sospensioni di imposta. Il ministro ha assicurato che il provvedimento garantirà “priorità alla celerità degli interventi, pur salvaguardandone l’equità e l’efficacia”. Un po’ di “non solo, ma anche” veltroniano.

Speriamo bene.