Il 1° Maggio dell’anno secondo della pandemia si apre con un’intervista di Enrico Letta che spara ad alzo zero contro Matteo Salvini: “Con lui tornerebbe il lockdown”, ha detto alla Stampa. Le riaperture portano alle richiusure, è il messaggio. Curioso che da giorni il Pd protesti contro il leader della Lega che causerebbe strappi nella maggioranza: da una forza “responsabile” quale il maggior partito della sinistra si definisce, ci s’aspetterebbe un impegno per ricucire e tenere unita la coalizione, non un’esasperazione delle spaccature.



Non si tratta semplicemente di una strategia pre-elettorale: lo scontro è tra due visioni di come affrontare questa fase. Nello stesso governo ora sono obbligate a convivere due impostazioni: quella della ex maggioranza del Conte 2, che Letta ha confermato nonostante il fallimento di Zingaretti, e quella “aperturista” sostenuta dai nuovi arrivati, cioè Forza Italia e Lega. I partiti della vecchia maggioranza si attendevano un Mario Draghi più vicino alle loro posizioni, mentre il premier nei fatti si mostra più sensibile alle istanze portate nel governo da Giancarlo Giorgetti, la punta di diamante della Lega al governo. Il repulisti ai vertici della sanità, l’accelerazione sui vaccini, le riaperture in base al criterio del “rischio ragionato”: Draghi ha impresso un forte cambiamento rispetto al Conte 2. Certo, non ha mollato sul coprifuoco alle 22: basta per dare soddisfazione all’asse Pd-M5s?



Ma il 1° maggio è proseguito con il discorso di Sergio Mattarella per la festa del lavoro. Un discorso equilibrato, che ha toccato molti temi: il “lavoro buono e dignitoso”, il suo essere “condizione della rinascita”, l’“appello all’unità”, il pensiero alle “categorie più colpite”, il sostegno all’“innovazione digitale e transizione ecologica”, fino agli auguri per il Concertone sindacale. La parola “riaperture”, però, non compare nel discorso. Ed è difficile pensare come si possa creare “lavoro buono” senza che tutte le attività produttive e commerciali ricomincino a operare a pieno regime. Quando accadrà?



È questa la domanda alla quale non risponde il partito trasversale fatto dalla triangolazione tra il Pd e il settore politico a esso collegato, le classi lavoratrici più garantite e la sponda tecnico-scientifica dei virologi televisivi. Occorre attendere la situazione “zero contagi”? Oppure raggiungere l’agognata immunità di gregge, minacciata dalle varianti che spuntano a ogni latitudine? O ancora completare le vaccinazioni? Questo è il rischio più sottile: la campagna vaccinale si sta infatti rivelando una tela di Penelope non soltanto per la lunghezza, ma soprattutto perché finora la comunità scientifica ha attribuito 6 mesi di efficacia per i vaccini. Dunque, dopo l’estate, chi ha ricevuto le prime dosi tra gennaio e febbraio dovrebbe ripresentarsi a farsi inoculare, in un loop senza fine.

Nel governo, dunque, si fronteggiano due schieramenti in lotta politica, ma soprattutto due idee diametralmente opposte di ripartenza. C’è però un altro aspetto sul quale il discorso di Mattarella ha lasciato margini di ambiguità: quello sul ruolo dell’Europa. Per il presidente, la pandemia ha creato “una nuova consapevolezza” perché l’Ue “ha saputo predisporre risorse ingenti per affrontare le emergenze”: quelle risorse che non aveva concesso nei duri anni del rigore finanziario. In realtà l’Ue sta predisponendo nuove forme di controllo. E ha fallito negli approvvigionamenti dei vaccini: un fiasco che la causa intentata contro AstraZeneca non può coprire.

“Dovremo usare paziente sapienza per riconquistare completa libertà di comportamenti in piena sicurezza”, ha concluso il capo dello Stato. “Incognite che comportino il rischio di ulteriori prezzi da pagare con la vita delle persone non sono ammissibili. Già troppo alto è il sacrificio di vite umane che la pandemia ha provocato”. La voce è di Mattarella, ma i concetti sono molto vicini a quelli di Enrico Letta. O di Mattia Santori, il leader delle Sardine: “Se la destra non sarà responsabile, avremo morti e disoccupati”, ha detto ieri.

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