Forse una cosa gli italiani hanno cominciato a capire: quello che accade nelle stanze del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-Stati, non si sa e non si deve sapere.

Ricapitoliamo. Conte si è difeso dall’accusa di avere condotto trattative sul Mes all’oscuro o contravvenendo al mandato del Parlamento durante il governo gialloverde. “Mes già approvato, meglio chiudere ora”, ha però detto lunedì una nota dell’Eurogruppo; salvo poi far filtrare che “la firma della riforma del trattato Mes non è necessaria a dicembre. Potrebbe essere uno o due mesi dopo”, e ancora: “la riforma era già stata concordata dai ministri delle finanze della zona euro lo scorso giugno, e dovrebbe essere chiusa questo mese”.



Che senso ha discutere di un trattato già approvato, devono essersi chiesti in molti. E poi: se mancano la firma e la ratifica, il Mes è già stato “approvato” o no? Che cosa hanno “concordato” Conte e Tria lo scorso giugno, senza doverne per questo informare il Parlamento?

La confusione aumenta se si sta alle dichiarazioni fatte da Gualtieri in audizione il 27 novembre scorso. In quella sede il ministro dell’Economia – che oggi sarà a Bruxelles per parlare ancora di Mes in una riunione dell’Eurogruppo – ha detto che “il testo non è ancora stato firmato” ma che “il testo è concordato e se chiedete se è possibile riaprire il negoziato vi dico che secondo me no, il testo del trattato è chiuso”.



Abbiamo provato di sbrogliare questo conflitto in cui sembrano fare a pugni logica, vocabolario e politica con Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza.

Professore, sappiamo che il Mes è un trattato. Questo cosa comporta?

Sebbene strettamente connesso al quadro dell’Unione Europea, il Mes non costituisce un atto dell’Unione. È un trattato internazionale fra gli Stati che adottano l’euro. Di conseguenza, il Mes risponde alle logiche proprie del diritto internazionale, nell’ambito delle quali ciascuno Stato ha a cuore soprattutto i propri interessi.



La riforma del Mes è stata approvata provvisoriamente il 21 giugno 2019. È per questo vincolante?

No. Affinché il nuovo Mes diventi uno strumento giuridico vincolante, dovrà, ai sensi del suo articolo 5, essere ratificato da tutti gli Stati firmatari, corrispondenti agli attuali Stati che sono parte del Mes. Vi è un’aspettativa che tutti gli Stati lo ratifichino entro il dicembre di quest’anno, ma non vi è alcuno obbligo in questo senso.

Quando il testo di un trattato è “definitivo”?

Normalmente, un trattato è definitivo quando il testo è formalmente adottato da tutti gli Stati che prendono parte al negoziato, generalmente attraverso la firma, a meno che il testo non disponga diversamente.

E il Mes?

Il testo della riforma del Mes non contiene alcuna previsione riguardo alla sua definitività. Né è chiaro se esso sia stato firmato definitivamente, e da chi. Questa mancanza di trasparenza è dovuta proprio alla natura internazionale di questo strumento. Se, come emerge da notizie di stampa, esso è stato firmato dai rappresentati degli Stati parte, esso dovrebbe essere diventato definitivo. Ma, anche in tale caso, nulla vieta una sua modifica all’unanimità.

Cosa può dirci della sua entrata in vigore?

Ogni trattato contiene regole sulla sua entrata in vigore. Nel caso della riforma del Mes, la regola, contenuta all’articolo 5 del testo, è che essa entrerà in vigore allorché venga ratificato da tutti gli Stati firmatari, che sono già oggi parti del Mes.

Anche la ratifica merita un chiarimento.

La ratifica viene effettuata da ciascuno Stato sulla base delle proprie procedure costituzionali. Secondo l’articolo 80 della Costituzione italiana, la ratifica del Mes dovrebbe essere preceduta dall’autorizzazione parlamentare, dato che si tratta di un trattato che ha natura politica e prevede oneri alle finanze. 

Il testo modificativo del Mes è stato firmato o no dai plenipotenziari degli Stati dell’Eurogruppo?

Ad oggi, non è disponibile il testo aperto alla firma degli Stati. Da fonti giornalistiche, sembra che esso sia stato firmato e quindi sia definitivo.

Cosa succede se il Parlamento non ratifica il Mes?

La mancata ratifica della riforma del Mes da parte anche di un solo Stato ha l’effetto di impedirne l’entrata in vigore. Evidentemente, gli altri Stati potrebbero riapprovare il testo di riforma in una formazione che escluda lo Stato che non vuole ratificare. In tal caso il Mes rimarrebbe in vigore nella sua versione attuale, fra tale Stato e gli altri Stati parte. Giuridicamente si creerebbe però una situazione difficilmente gestibile. Mi pare che non esistano le condizioni politiche per una situazione di questo tipo.

Che cosa sono le riserve?

Le riserve sono dichiarazioni unilaterali che accompagnano la firma o la ratifica di un trattato e mirano a modificare l’effetto del trattato rispetto allo Stato riservante, nel senso da esse indicato. Dato che il testo di riforma del Mes non prevede la possibilità di apporre riserve, la loro ammissibilità è soggetta ad una valutazione di compatibilità con l’oggetto e lo scopo del trattato. Sulla base di un esame “a prima vista” escluderei che il testo di riforma del Mes possa essere oggetto di riserve da parte degli Stati.

Da tutto quanto precede, qual è la sua valutazione di quanto sta accadendo?

Quel che forse non è chiaro nel dibattito di questi giorni è che il Mes è uno strumento di carattere intergovernativo e non è un atto dell’Unione. Di conseguenza, esso è soggetto alle dinamiche di interessi degli Stati che ne sono parte. Si tratta di uno strumento teso a prevenire o a risolvere crisi finanziarie degli Stati, in particolare degli Stati fortemente indebitati, attraverso meccanismi di assistenza finanziaria. Data la logica intergovernativa che ispira lo strumento, è ovvio che gli Stati che mettono a disposizione tali meccanismi esigano garanzie da parte degli Stati che vi ricorrono.

E non è logico che questa pretesa sia contestata dagli Stati fortemente indebitati, come l’Italia?

Certo, perché questi Stati temono di perdere le proprie prerogative sovrane. D’altra parte, la scelta di rimanere fuori dal sistema del Mes da parte di uno Stato debitore, come l’Italia, avrebbe un effetto ancora più penalizzante. Questo Stato rimarrebbe privo della rete di sicurezza collettiva assicurata dal Mes e sarebbe esposto frontalmente alle volubilità dei mercati finanziari. Insomma, finché si rimane nella logica intergovernativa, è difficile esigere solidarietà, tanto più se non si sono avviate, da anni, delle serie politiche di riduzione del debito.

Ci sono alternative?

Un percorso diverso comporterebbe una serie di condizioni: una diversa credibilità del nostro Paese sui mercati finanziari e, contemporaneamente, una logica solidarista europea che assorba gradualmente gli egoismi nazionali e instauri un clima di fiducia fra Stati che oggi sembra ancora lontano. 

(Federico Ferraù)