Caro direttore,

ti chiedo un piccolo spazio per alcune osservazioni sul post elezioni regionali.

Non sono addentro alle segrete stanze della politica o ai circoli ristretti di “colorochesannotutto”, ma sono semplicemente un cittadino come ce ne sono tanti che vive nella sua città e regione, amando questa terra, le sue tradizioni e la gente amabile o meno a seconda del Lambrusco che beve.



Nello stesso tempo avendo avuto un bravissimo padre comunista (bravissimo sia come padre che come comunista) e una madre paziente e mite (sia come virtù cristiana che come donna) comprenderai che queste due anime hanno sempre con – vissuto, coscientemente o meno, in me e pertanto preferisco i ponti ai muri, perché i primi hanno bisogno di due punti di appoggio, di condivisione per costituire una strada, i muri no. Basta anche solo una parte per ergerli.



Queste elezioni in Emilia e Romagna hanno cavato le castagne dal fuoco a tanti.

Sicuramente al PD (c’erano dei dubbi sul successo?) che stringendo le fila, con la bassa affluenza registrata, ha vinto alla grande. Merito in primis della candidatura del “sindaco” De Pascale e di tanti altri amministratori locali (vedi Massari nel collegio di Parma) che presentandosi hanno portato in dote una capacità e presenza nel territorio invidiabile.

Nel centro destra ovviamente nessun politico ha perso perché nessuno di essi si è presentato e quindi nessuno si è stracciato le vesti. D’altronde le alternative non si fanno a tavolino, ma nella pazienza di una presenza locale, nel territorio, non sui social.



Certo, anche l’esito di questa tornata elettorale possiamo leggerlo con i soliti occhiali di sempre e di commenti in tal senso ce ne sono stati, ma è semplicemente sviare il problema.

Si possono ancora oggi rispolverare le solite letture di corporativismo, consociativismo, collateralismo, ma esse non leggono compiutamente la variegata realtà emiliano-romagnola di oggi.

Anzi credo che molto spesso la visione “da schieramento” impedisca di cogliere quello che è il sentire ed il vivere della gente-gente, impedisca di riconoscere il sacrificio gratuito di tanti amministratori e consiglieri che nei paesi si occupano della “cosa pubblica”.

Si tirano in causa ancora oggi letture di centralismo democratico, quando mi pare che nello schieramento opposto il DNA del partito di maggioranza non sia di sussidiarietà o valorizzazione delle realtà intermedie.

No, personalmente non mi interessano chiavi di lettura politiche novecentesche.

Questo non vuol dire non cogliere la peculiarità e specificità del “modello emiliano”, con i suoi limiti ed il retroterra culturale e sociale sul quale poggia.

Personalmente credo, che il vero rischio sia quello del possibile scivolamento del PD sulla “gestione dei diritti individuali” rispetto a quella della “gestione della cosa pubblica” pagando un prezzo a quelle “élite” radical -chic così criticate da Pasolini.

È vero come ci insegnava all’università il prof Miglio, docente di Scienza della Politica, che ogni formazione politica (qualunque) cerca la “rendita politica”, ma è altrettanto vero però che può esserci un’azione, un fare della politica che concretamente può avere come orizzonte e come prassi il “bene comune”.

Forse talvolta è meglio guardare la luna invece che il dito di chi la indica.

 

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