Pur in una situazione epidemiologica difficile per l’aggressività delle varianti del Covid e per la confusione che si è creata in merito alla sicurezza dei vaccini, Mario Draghi non ha mai smesso di tenere la barra dritta sulla governance dell’emergenza sanitaria, imprimendo, in poche settimane, una clamorosa tripla virata. Si chiedeva discontinuità, è discontinuità è stata.



La prima strambata è arrivata il 26 febbraio, quando Draghi ha nominato Fabrizio Curcio capo dipartimento della Protezione civile. L’obiettivo? Affidare una macchina delicata e complessa a chi ne conosce a fondo il funzionamento. Curcio in quella macchina era salito nel 2007 chiamato da Guido Bertolaso e ne era poi diventato il “conducente” nel triennio 2015-2017, quando si era dimesso per motivi personali lasciando il posto ad Angelo Borrelli, del quale ora ha preso il posto.



Il 1° marzo è cambiato anche il Commander in chief delle operazioni anti-Covid: Domenico Arcuri, dopo aver dato le dimissioni, è stato sostituito nel suo incarico di Commissario straordinario per l’emergenza dal generale Francesco Paolo Figliuolo, che arriva dal settore della logistica militare, ambito, quello della logistica, in cui Arcuri – dall’approvvigionamento delle mascherine all’idea delle primule per la campagna vaccinale – non aveva certo dato prove brillanti.

E ora è toccato al Comitato tecnico scientifico, la “mente” delle (misteriose) analisi numeriche, dei (confusi) protocolli di contenimento e delle (ondivaghe) strategie di contrasto anti-Covid che ha accompagnato tutta la stagione del governo Conte 2. Il vecchio Cts, costituito il 3 febbraio 2020 con competenze “di consulenza e supporto alle attività di coordinamento per il superamento dell’emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del coronavirus”, era composto da 26 “esperti e qualificati rappresentanti degli enti e amministrazioni dello Stato”. E’ nato, insomma, con un difetto di origine: un Comitato tecnico più “politico” e “burocratico” che “scientifico”, visto che mancavano, per esempio, epidemiologi o statistici, che invece sono presenti nei comitati tecnici di altri paesi.



Ci sono voluti 13 mesi di navigazione a vista – all’inizio tra onde tempestose, quando è scoppiata l’epidemia a causa di un virus sconosciuto, poi in condizioni di preoccupante e deprimente bonaccia – per cambiare volto alla linea di comando e all’equipaggio della “nave vedetta” anti-Covid. Come si legge in una nota, nel nuovo Cts “saranno coinvolti esperti appartenenti non solo al campo scientifico-sanitario ma anche ad altri settori, come ad esempio al mondo statistico, matematico-previsionale o ad altri campi utili a definire il quadro della situazione epidemiologica e ad effettuare l’analisi dei dati raccolti necessaria ad approntare le misure di contrasto alla pandemia”.

Anche il Cts, dunque, è chiamato a rispettare le nuove parole d’ordine di Draghi: accelerare e cooperare. Accelerare: il Comitato dovrà infatti cercare di fermare l’avanzata del virus usando dati il più possibile aggiornati, così da anticiparne le intenzioni. Cooperare: nel Comitato entrerà un rappresentante della Conferenza delle Regioni e Province autonome, con il chiaro intento di coinvolgerle nelle valutazioni e nelle scelte operative, devitalizzando sul nascere quelle polemiche reciproche che in passato hanno fatto perdere tempo prezioso, ritardando le decisioni.

Innanzitutto Draghi ha snellito, anzi più che dimezzato, il Cts: ora i componenti sono 12 e non più 26. “Questa riduzione è un fatto positivo, come criterio di efficienza e di ottimizzazione del lavoro – osserva Stefano Terna, co-fondatore e amministratore delegato di TomorrowData (sviluppo e nell’implementazione di algoritmi di Intelligenza artificiale), che cura su Mondo Economico un aggiornamento in tempo reale dell’indice Rt –. Vedo altrettanto molto positivamente l’ingresso di figure del mondo statistico e matematico previsionale”.

Anche se a determinare la svolta può aver contribuito la volontà di depotenziare un Comitato troppo ingombrante, spesso inconcludente e sempre sordo a ogni richiamo, suggerimento o consiglio, Draghi non ha certo intenti punitivi, e lo dimostrano le conferme di Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, nel ruolo di coordinatore e di Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, come portavoce unico. Ma senza dubbio il presidente del Consiglio, e a seguire comunità scientifica e opinione pubblica, si aspettano un cambio di spartito. Per mesi, martellante e monotono, il Cts ha continuato imperterrito in una diuturna litania di numeri, battendo, insistentemente, quasi fastidiosamente, sui medesimi tasti: nuovi casi, numero dei tamponi, ospedalizzazioni, ricoveri nelle terapie intensive, decessi. Il tutto poi distillato attraverso un algoritmo tenuto segreto come la ricetta della pozione magica di Asterix preparata dal druido Panoramix.

“Mi auguro – è l’auspicio di Terna – che proprio grazie ai nuovi componenti e alle nuove professionalità del board sarà possibile introdurre degli ammodernamenti del calcolo dell’indice Rt, scegliendo di utilizzare tecniche, sicuramente disponibili e note, tali da ottenere dati più velocemente e tempestivamente. Lo dico perché siamo in un momento in cui il ritardo nel calcolo dell’Rt è ormai di dominio pubblico, ma dobbiamo evitare di tornare all’uso del conteggio giornaliero dei nuovi casi o dell’incidenza, perché non consentono di monitorare davvero lo stadio dell’epidemia”.

L’opacità dell’indice Rt non è la sola pecca del Cts prima versione. La rivista Nature, del resto, ha smontato – errore per errore, silenzio per silenzio, omissione per omissione – lo storytelling (costruito dal duo Conte-Casalino) del “modello italiano”: la confusione sugli asintomatici o sull’uso delle mascherine, i responsabili dei migliori centri di ricerca clinica e biotecnologica, che proponevano di aumentare la capacità diagnostica sfruttando il potenziale dei loro centri di ricerca accademici, che rimanevano senza risposta, i documenti secretati per lungo tempo, la pletora di autocertificazioni, le repentine retromarce sui protocolli, un’Italia al terzo posto nel mondo per morti ogni 100mila abitanti.

Ora, sotto l’incalzare delle varianti e con una campagna di vaccinazioni su cui si gioca la scommessa di un ritorno alla normalità per un’Italia stremata, lo scenario è cambiato rispetto alla prima e alla seconda ondata e, di conseguenza, dovrà cambiare passo anche il Cts. Per fare cosa?

“Il nuovo Cts – risponde l’epidemiologo Cesare Cislaghi – deve rafforzare un sistema informativo carente, intervenire su una serie di indicatori che non funzionano, innescare dei processi di ricerca e di valutazione più solidi dal punto di vista dell’evidenza scientifica e mettere mano a indagini epidemiologiche anche agili. Quanto alle strategie, siamo così sicuri che la colorazione delle Regioni sia la strada giusta? Perché a inizio febbraio le hanno messe tutte in giallo e 15 giorni dopo è ripartita l’ondata?”.

Rigore scientifico, lucidità di analisi, tempestività d’azione. Al nuovo Cts in salsa draghiana spetta il compito di riprendere in mano il timone dell’emergenza sanitaria, fornendo al governo la bussola e le vele per trovare il vento giusto che ci faccia uscire dalle secche, anche della crisi economica, perché senza sicurezza e salute non c’è possibilità di vera e duratura ripresa.

Insomma, con questi chiari di luna – in piena terza ondata e con una campagna vaccinale da condurre in porto – serve un Cts formato Luna Rossa.

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