Le elezioni amministrative, i referendum, la seconda tranche del Pnrr, poi arriva l’estate e l’incidente che fa precipitare tutto. C’è chi in Parlamento ha già pronta la sua road map verso la crisi di governo e, come i separatisti del Donbas, prepara l’occasione propizia. Il calendario, del resto, già prevede una primavera di fuoco tra marzo e giugno. “Il Governo è agli sgoccioli”, prevede il politologo Piero Ignazi, ma per quanto continuerà a sgocciolare? C’è anche un’altra domanda senza risposta, è quella di Maurizio Lupi: “Come mai quando si votò per il capo dello Stato chiedemmo tutti a Draghi di continuare a guidare il Paese in questa fase?”. L’unica cosa certa è che la guerriglia del decreto Milleproroghe con la maggioranza che si spacca su un provvedimento minore come il tetto al contante, non è un incidente di percorso. E la diarchia Mattarella-Draghi sulla quale tanto si è filosofeggiato attribuendole addirittura il valore di una soluzione per quanto temporanea, non è sufficiente a ricostruire il tessuto di collaborazione creato durante l’emergenza. La riprova sta anche nei contenuti dei provvedimenti che il Governo ha varato e in quelli che dovrà ancora adottare.
Cominciamo dagli otto miliardi per tamponare il caro bollette. È poco, è tanto? Dipenderà da quanto a lungo durerà la crisi, se i prezzi del gas si raffredderanno come sembra fin dal prossimo aprile, allora è più che sufficiente, ma resta il fatto che il provvedimento è stato intempestivo. Il rialzo è cominciato in autunno, per fronteggiarlo si sono prese misure tampone di natura come sempre monetaria, e si è cominciato a discutere sull’aumento della produzione nazionale molti mesi dopo, senza crederci davvero, con l’opposizione aperta del M5S delle formazioni ecologiste, di una parte del Pd, dell’intera sinistra radicale, di consigli comunali e regionali che sei anni fa furono protagonisti del referendum anti-trivelle: è finito in un clamoroso flop, però ha provocato comunque un arresto di fatto della produzione crollata a meno di 3 miliardi di metri cubi.
Rullano già i tamburi dei No Triv, si moltiplicano proteste e manifestazioni, anche se il provvedimento non prevede nuove ricerche, ma solo di mandare avanti i giacimenti esistenti e già produttivi. Una minimalismo del tutto improprio: l’obiettivo massimo è arrivare a 5 miliardi di metri cubi poco più del livello del 2020 quando in piena pandemia si sono raggiunti i 4,5 miliardi. Teniamo conto che nel 2000 la produzione era di 17 miliardi già in discesa rispetto ai 21 miliardi del 1994, troppo poco per assicurare l’indipendenza energetica (bruciamo 70-75 miliardi di metri cubi l’anno), ma anche rispetto alle riserve italiane stimate in 92 miliardi di metri cubi mentre sotto l’italico suolo ci sarebbero ben 200 miliardi secondo le stime di Nomisma energia.
In Italia si monetizza tutto, le riforme come l’energia. Si paga e ci si indebita. Nonostante la maestria del ministro Daniele Franco che conosce le finanze pubbliche come le sue tasche, di questo passo il prossimo mese bisognerà rivedere i delicati equilibri con i quali è stato varato il bilancio per il 2022. Un segnale nient’affatto buono mentre si stanno facendo i conti anche sul Pnrr e il ministro Giovannini dichiara che occorre rivedere i parametri per gli investimenti infrastrutturali a causa del caro materie prime. La pressione degli industriali è forte, in parte giustificata in parte molto meno: se davvero i prezzi si sgonfieranno, i sussidi decisi oggi non verranno certo restituiti. Un’altra dimostrazione che tutto si gioca sul day by day in preda a crisi di nervi, incapaci di ragionare con un’ottica di medio periodo e di programmare cambiamenti davvero strutturali.
Anche la decisione presa sulle spiagge risponde alla stessa nevrosi quotidiana che genera misure tampone o rinvii. Cosa accadrà con due scelte destinate davvero a incidere in modo sostanziale e non passeggero sui redditi degli italiani come la riforma fiscale (l’anno scorso si è deciso di soprassedere, ma adesso il tempo sta per scadere) e la revisione del catasto che potrebbe avere un impatto persino maggiore di una patrimoniale sugli immobili?
In entrambi i casi è essenziale creare un’ampia convergenza, altrimenti sarà impossibile formulare provvedimenti realizzabili in concreto. Il vecchio adagio no taxation without representation è più che mai attuale in un’Italia dove al deficit di governabilità che si ripresenta dopo la parentesi dello scorso anno si aggiunge un deficit di rappresentanza che non è stato mai risolto ed è peggiorato con la pandemia.
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