Tra i tanti spifferi che filtrano dal Palazzo, uno in particolare s’è fatto insistente. La voce è che Mario Draghi possa lasciare il suo incarico alla fine dell’anno, rimanendo in carica per gli affari correnti. Non si tratta di gettare la spugna, ma di considerare concluso il mandato ricevuto: dare una svolta alla campagna vaccinale, varare il Pnrr, imprimere fiducia in Italia e in Europa, lanciare la ripresa. Fino a oggi tutto è andato come doveva, anzi meglio del previsto con Angela Merkel che loda l’Italia per come affronta la pandemia e una crescita del 6,3% quest’anno e del 4,7% l’anno prossimo, al di là di ogni rosea aspettativa, tanto che Fitch ha alzato il rating dell’Italia. Sia chiaro è ancora BBB, ma è colpa del passato. La nave va, dunque, ma la scorsa settimana è entrata nel tempestoso stretto tra Scilla e Cariddi. 



Prima Draghi ha dovuto richiamare bruscamente il ministro Speranza per le decisioni prese sulla scuola (tutti in Dad con un solo positivo in classe), poi ha discusso a non finire con i sindacati sul fisco e le bollette del gas, infine è incappato in una spaccatura nella maggioranza che si è rivelata incolmabile tanto da spingere a una brusca marcia indietro rispetto alla proposta iniziale di far pagare ai redditi superiori a 75 mila euro l’anno i sussidi alle famiglie per temperare il caro metano. Dunque, da un lato il Governo è tornato all’antico, ai rituali vetusti dei tavoli sindacali, degli scioperi usati come armi di ricatto, delle pressioni confindustriali e del brontolio sordo delle categorie e dei diversi gruppi sociali. Dall’altro questi rumori fuori scena hanno fatto irruzione in modo eclatante nel teatro di palazzo Chigi. 



Il contrasto non è da poco, perché va al di là del consueto e inevitabile mercato del consenso che si conclude per lo più con un compromesso. Questa volta si confrontano due visioni molto diverse, anzi addirittura opposte, che rispecchiano gli interessi, i ceti di riferimento e, quindi, gli elettorati, ma anche le idee su come affrontare tre questione di fondo: la ripresa economica, la distribuzione dei redditi e la gestione del bilancio pubblico. Da tempo scorre come un fiume carsico l’idea di imporre una patrimoniale, si è parlato di tasse di successione, poi di case (come sempre), di contributi da parte dei più ricchi a favore dei più poveri (all’insegna della solidarietà o di un nuovo patto sociale), finché si è arrivati allo scambio tra tasse e gas. Una proposta singolare perché si tratta di scambiare un’imposta sul reddito con un prezzo di mercato. 



La sovrattassa di solidarietà piace al Movimento 5 Stelle e si è accodato anche il Pd; ha trovato sul fronte opposto i partiti di destra, ma anche Matteo Renzi con la sua pattuglia di parlamentari. Un’altra conferma della svolta renziana, secondo gli osservatori politici, tuttavia l’argomento di Italia Viva è sensato: il Governo s’è impegnato a ridurre la pressione fiscale complessiva, con la sovrattassa finirebbe per alzarla sia pure per una legittima scelta a sostegno delle famiglie e delle stesse imprese colpite dal caro gas. Occorre tenere separate le due voci di bilancio e trovare altrove le risorse per il bonus bollette. 

Già, ma dove? Si potrebbe ridurre il Reddito di cittadinanza, però scoppierebbe una bufera con i grillini. Lo stesso Draghi, d’altra parte, s’è sbilanciato per confermarlo sia pur con qualche correttivo. Si potrebbe mettere mano alla giungla dei sussidi ordinari (cioè al netto di quelli direttamente collegati all’emergenza), ma ci sarebbe una sollevazione dei “diritti acquisiti” anche se molti di essi sono diventati privilegi incomprensibili. È una voce consistente della spesa pubblica nella quale nessuno ha mai avuto il coraggio di intervenire. Indebitarsi ancora non è opportuno: non è chiaro se sarebbe debito buono o cattivo, ma in ogni caso con l’inflazione che aumenta e le banche centrali pronte a tirare la cinghia è una scelta di politica economica sbagliata e pericolosa per un Paese che dipende così tanto dal mercato finanziario. Lo spread ha già emesso rumori molesti. 

Insomma, per la prima volta s’è prodotto uno stallo derivante dalla natura della maggioranza sulla quale si regge il Governo. Da molte parti si sente dire che Draghi è sempre più inquieto e irritato, mentre c’è chi vorrebbe spingerlo fuori per aprire non si capisce bene quali nuovi scenari politici. Il primo impatto sarebbe sul Quirinale. Alcuni sostengono che in questo modo Draghi sarebbe più libero di candidarsi, ma non sembra che il capo del governo voglia candidarsi, semmai potrebbe salire al Colle sulla base di un ampio consenso raggiunto prima ancora di arrivare alla lotteria del voto segreto. Un’altra scuola di pensiero pensa che le dimissioni di Draghi possano spingere Mattarella a superare le sue resistenze e accettare un secondo mandato a tempo. 

Per ora restiamo sempre nel campo del chiacchiericcio fuori e dentro il Palazzo. Ma anche voci come queste sono l’ulteriore conferma di quanto sia delicato quest’ultimo mese. La Legge di bilancio va approvata, le riforme previste dal Pnrr non sono completate, emergono resistenze, lentezze, divisioni (come, ad esempio, sulla politica energetica). Insomma, non possiamo ancora dire missione compiuta.

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