Ma alla fine quanto sarà grillino il nuovo Pd? Se si vuole semplificare sino alla brutalità l’oggetto del contendere della fase congressuale in corso, il nocciolo è come porsi nei confronti del Movimento 5 Stelle. Perché persino dopo la clamorosa rottura del governo Draghi, persino con Letta, il partito ha paurosamente oscillato fra irrigidimento e inseguimento di Conte e soci sul loro terreno.



Non è che il dibattito congressuale stia dando troppe risposte sotto questo punto di vista: quattro candidati che si inseguono e contraddicono. Due sono, in realtà, i contendenti veri, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, perché Gianni Cuperlo e Paola De Micheli sembrano correre più per fare presenza che altro.

Spicca l’assenza di un candidato in cui l’anima cattolico-democratica del Pd possa rispecchiarsi. La De Micheli ci prova, ma con esiti a dir poco modesti. Il richiamo di un mese fa dell’ultimo segretario del Ppi, Pierluigi Castagnetti, considerato da sempre uno degli esponenti politici più vicini a Mattarella, ha ottenuto un effetto paradossale. L’avviso era quello che gli ultimi popolari avrebbero potuto andarsene qualora la nuova carta dei valori avesse accantonato la loro ispirazione, che pure era una delle tradizioni fondative. Il timore della scissione ha partorito la scelta salomonica di tenere in vita tanto la vecchia carta dei valori, quanto la nuova. Confusione alle stelle.



Quelli che invece sono rientrati sono gli scissionisti di Articolo Uno. Dopo cinque anni sono tornati a casa, ma non si tratta di un ritorno indolore. C’è un problema di linea politica, visto l’imbarazzo creato dal voto del deputato Paolo Ciani contro il decreto sugli aiuti militari all’Ucraina. E poi ci sono le ombre che stanno dietro a Speranza, quella di Bersani, ma soprattutto i baffi di D’Alema. È inimmaginabile che l’ex premier rinunci a esercitare la sua influenza, anche se prova a ostentare distacco dalla politica. Lui, ad esempio, da sostenitore di Conte, ha sempre spinto per l’abbraccio con i grillini.



A doversi preoccupare di più di questa insidia è forse la candidata sulla carta più nuova, Elly Schlein. Il rischio che corre, in caso di vittoria, è di spostare il partito troppo a sinistra, perdere i cattolici e raggranellare ben poco, oltre ai già rientrati figlioli prodighi di Articolo Uno, dal momento che lo spazio dell’ambientalismo più spinto è già occupato da Conte, che presidia anche il tema semi-clientelare del reddito di cittadinanza. Peraltro questo sposare la causa ecologista da parte del M5s sta incontrando qualche intoppo all’Europarlamento di Strasburgo, dove l’ipotesi di adesione dei grillini, oggi senza casa, al gruppo verde ha subito un rallentamento. Persino i verdi italiani imputano ai possibili nuovi compagni di strada una visione anti-tutto (anti-termovalorizzatore, anti-rigassificatori, anti-discariche, e da ultimo anche anti-Ucraina). I verdi tedeschi, ad esempio, stanno al governo e su posizioni ben più elastiche dei grillini nostrani.

Non è che Bonaccini corra minori rischi di Schlein rispetto alle sirene contiane, ma nelle intenzioni vuole incarnare il partito degli amministratori, quello del buon governo, che torna ad avere vocazione maggioritaria e che non sembra accettare una posizione troppo subalterna al M5s, quella che rischia la Schlein. Bonaccini vuole sferzare un Pd che si è auto-flagellato fin troppo (parole sue) e rimettere al centro il lavoro. Rivendica come un merito il sì ai rigassificatori, quello suo su Ravenna e quello di Giani in Toscana, a Piombino.

Poi, però, anche lui con i grillini dovrà misurarsi, e il dialogo appare complicato. Quanto all’ipotesi di rinnovamento del gruppo dirigente, non aiutano gli endorsement dei vari De Luca, Emiliano, Fassino e compagnia cantante. Roba vecchia. Né può immaginare di ripartire dall’adesione della ex iena Dino Giarrusso, europarlamentare uscito da tempo da M5s. Il governatore emiliano gli ha intimato di scusarsi per gli attacchi del passato prima di considerarlo della partita, e ha fatto bene. Va bene aprirsi a tutti, ma serve anche dignità.

Pochi dubbi che quando il 12 febbraio si chiuderà la prima fase, saranno Bonaccini e Schlein ad acquisire il diritto di sfidarsi alle primarie del 26. Poi, chiunque vinca, dovrà definire compiutamente l’identità del Pd. Non ha futuro un partito senza volto: rischia solo la subalternità.

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