Letta archivia la pratica capigruppo con un discreto successo. Non era scontato riuscire in un sol colpo a destituire i due potenti leader della Camera e del Senato.

Non avendo numeri sufficienti – Letta non dispone di una sua corrente – sarebbe stato arduo senza la quasi immediata disponibilità di Delrio a cedere il passo. Ci ha rimesso Marcucci, che voleva lo scontro ma che è stato mollato quasi subito dalla sua stessa corrente, “Base riformista”, ben felice di cedere uno (cioè lui) per prenderne due.



Del resto nel Pd il tema della “parità di genere” è ancora troppo caldo e non ammette discussioni. Non è un caso che il segretario proprio ieri rincarasse la dose: parlando con il Corriere ha definito il suo partito “incrostato di maschilismo” e ha annunciato una “cura shock”, alludendo alla sotterranea opposizione ricevuta in questi primi giorni del suo mandato dai “cacicchi” del Pd, tutti giovanotti cinquantenni e poco disponibili a cedere il passo.



Poco importa che le correnti si siano spartite le cariche “al femminile” con la stessa voracità e spietata logica di potere, a cui le stesse donne Dem si sono piegate senza colpo ferire. Con l’eccezione, a dire il vero, di Marianna Madia.

Infatti, se al Senato la corrente degli ex renziani ha imposto per la successione di Marcucci la senatrice lombarda Simona Malpezzi, alla Camera le cose non sono filate del tutto lisce, e alla fine le dinamiche correntizie – volutamente tenute sotto traccia dai capi corrente – sono improvvisamente esplose grazie alla lettera di denuncia dell’ex ministra della Funzione pubblica dei governi Renzi e Gentiloni.



La Madia ha apertamente parlato di cooptazione, accusando il capogruppo uscente Delrio di aver in pubblico parlato di una salutare libera competizione, mentre in segreto sottoscriveva un accordo con le altre correnti per portare a casa la vittoria della Serracchiani. Così si sono svelati anche i nuovi riposizionamenti e le nuove alleanze all’indomani delle dimissioni di Zingaretti.

Nei 66 voti che hanno determinato l’elezione di Debora Serracchiani sono confluiti i voti di “area Dem” (Franceschini e Delrio), fino a pochi giorni fa parte della maggioranza zingarettiana, e quelli della “minoranza”  rappresentata dai voti di base riformista – ottenuti grazie all’impegno di dare il posto di vicepresidente vicario a Piero De Luca, figlio del governatore della Campania – e della corrente “fianco a fianco” che faceva riferimento all’ex segretario Martina, ormai lontano dal partito a causa del suo nuovo incarico internazionale alla Fao.

I 24 voti raccolti dalla Madia invece sono la somma dei voti della sinistra che fa capo ad Orlando, i pochi zingarettiani rimasti e l’ala romana degli ex “giovani turchi”. Un risultato scontato, ma che consente alla pupilla di Sabino Cassese di candidarsi alla guida almeno dell’opposizione interna, pronta a fare da “sponda” per le altre battaglie di rinnovamento che il segretario deciderà di condurre.

Letta dunque procede con speditezza, ed è stato molto attento a questo giro a non cedere nulla alla mediazione interna. Forse è la prima volta che due big del calibro di Delrio e di Marcucci restano senza incarichi di peso. Il prossimo appuntamento annunciato è la riunione del consiglio nazionale di sintesi del dibattito svolto nei circoli sulle proposte contenute nel discorso di investitura. E sembra che la base si sia espressa quasi all’unanimità a favore del segretario. Poi per fine aprile Letta vuole risolvere il rebus dei candidati da schierare alle amministrative del 3 ottobre. Se a Napoli sembra ormai definita l’alleanza con i 5 Stelle (a giorni Fico dovrebbe sciogliere la riserva), resta ben ingarbugliato il nodo-Roma a lasciare tutti sulle spine.

Non è detto che sulla lista nera del nostro Letta/Dantès non vi siano altri nomi illustri a cui verrà dato presto il benservito. Letta – rivelano fonti interne – sembra molto imbarazzato per le numerose questioni “irrisolte” che ha trovato sulla sua scrivania: gli oltre 140 dipendenti in cassa integrazione che attendono di conoscere il loro destino, una sede enorme e costosa da dismettere, le casse pressoché vuote (a differenza dei ricchi budget a disposizione dei gruppi parlamentari). Ma sembra che abbia trovato in fondo a qualche cassetto anche qualche dossier “caldo”, come la spinosa e incredibile vicenda di Luca Lotti, che guida la corrente degli ex renziani in tandem con il ministro della Difesa Guerini. Al centro di due vicende giudiziarie ancora aperte (a causa delle sue frequentazioni con l’ex presidente dell’Anm Palamara e per il caso Consip dove è coinvolto il padre di Renzi), Lotti un paio di anni fa si sospese dal partito. Non si è mai visto che un iscritto sospeso dal partito ne guidasse poi una delle correnti più influenti. Giriamo la domanda a Letta: gli sarà ancora consentito?

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