Si chiamano Pvts, Punti vaccinali territoriali straordinari, pensati per essere installati in parcheggi di supermercati, palazzetti dello sport o altri ambienti idonei: aperti fino a 12 ore per 7 giorni su 7, in grado di fare 750 vaccinazioni al ritmo di una ogni 10 minuti, con percorsi ben delineati per accettazione, somministrazione e osservazione dei vaccinati. Sono le linee guida che la Protezione civile presenterà oggi alle amministrazioni locali per dare omogeneità alla campagna vaccinale, oggi azzoppata dalle troppe difformità tra le varie Regioni, visto che ciascuna si è mossa per conto proprio. L’obiettivo del documento è sempre lo stesso, quello indicato fin dal primo giorno dal presidente del Consiglio, Mario Draghi: accelerare sui vaccini. “Le linee guida – come riporta Repubblica – sono da intendersi quale indirizzo ‘non vincolante’ e hanno solo lo scopo di suggerire un modello organizzativo e funzionale omogeneo riguardante l’allestimento dei centri vaccinali straordinari, che possa essere di riferimento per l’incremento della capacità vaccinale sul territorio”.



I Pvts, suddivisi in maggiori, minori e mobili, dovranno ovviamente poter contare sul un numero di operatori adeguato. Possono davvero garantire il giusto passo alla corsa dei vaccini? Cosa serve per far sì che si passi dalle attuali 170mila dosi al giorno, il doppio comunque dei due mesi precedenti, alle 500mila auspicate? “Servono gli stessi ingredienti che servivano prima – risponde Luca Lanini, professore di Logistica all’Università Cattolica di Piacenza e membro del comitato scientifico del Freight Leaders Council –: la disponibilità dei vaccini e l’organizzazione dei punti vaccinali, che ancora non ci sono”.



Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, ha annunciato “un hotspot vaccinale in ogni città”. Che ne pensa?

L’idea di avere 200-300 grandi hub vaccinali è giusta ed è fattibile. Oggi ci sono quelli presso gli ospedali, ma non bastano. Ma attenzione: Curcio dice “siamo pronti ad allestirli”. Il che significa che per buona parte non sono ancora pronti, non sono stati individuati né concretamente montati.

Però c’è il modello, che deve seguire “linee guida uguali ovunque: grande parcheggio, entrate e uscite separate, area di attesa, medici che verificano le condizioni di idoneità, sale per l’inoculazione e altre dove aspettare i 15 minuti obbligatori”. E’ un modello funzionale?



Senza dubbio. Lo ripeto da novembre: occorre uno schema preciso, dettagliato, con aree separate di entrata e di uscita, spazi ampi di 3-4mila metri quadrati. Teniamo conto che il tempo medio di sosta di un cittadino non deve essere inferiore ai 30 minuti e non deve superare i 45 minuti per completare tutta l’operazione della vaccinazione, dall’entrata all’uscita dopo l’osservazione post-inoculazione.

Pronti a scendere in campo militari e 200mila volontari della Protezione civile per aiutare le regioni in difficoltà. Può accelerare il piano?

Certo. Il piano vaccini è un’operazione che esige una centralizzazione. Centralizzare vuol dire non fermare le regioni che corrono e aiutare quelle che sono in ritardo. Nelle regioni meno efficienti c’è bisogno di tutto, anche dei militari e dei volontari della Protezione civile, per gestire un’emergenza, perché tale è per una buona parte delle regioni.

Un punto debole che ha caratterizzato finora il piano vaccinale è il caos delle prenotazioni online, in Lombardia ma non solo, tanto che sempre più regioni sono orientate a utilizzare il portale di Poste Italiane. Come si spiegano questi problemi informatici?

Far ricorso al portale di Poste Italiane ricalca il modello inglese: in Gran Bretagna le prenotazioni vengono consegnate al massimo in 6 ore ai cittadini tramite le Poste, che là sono molto efficienti. I sistemi informativi sono centralizzati, i cluster ben identificati e il medico curante gestisce la prenotazione in tempo reale come fosse l’acquisto di un biglietto aereo. Così hanno potuto vaccinare già il 95% degli over 65.

E in Italia? Dove casca l’asino?

In Italia i sistemi informativi e le banche dati sono diverse e non dialogano fra loro. Oggi si parla tanto di blockchain, anche nella logistica, intesa come capacità di elaborare velocemente e in modo omogeneo dati provenienti da server diversi: è quello che serve al nostro paese.

Intanto è stato ribadito il criterio delle vaccinazioni per fasce d’età. E’ più gestibile?

Si sente spesso ripetere che inizieremo presto a vaccinare a tappeto per fasce d’età, in base all’anno di nascita. Significa che non disponiamo di sistemi informativi sofisticati, capaci di gestire anche gruppi diversi oltre quello, semplice, dell’anno di nascita.

Settemila aziende hanno dato la disponibilità a trasformarsi in hub vaccinali: vanno utilizzate per immunizzare solo dipendenti e loro familiari o anche i cittadini dell’area che gravita intorno alla fabbrica?

E’ innanzitutto un problema di informatizzazione. Se sono in grado di trasformare l’azienda in hub vaccinale generale, si può pensare di somministrare le dosi a tutti i cluster circostanti. Vorrei però sottolineare che un hub vaccinale deve restare operativo per almeno 10 mesi, fino a dicembre, se non oltre. Difficile che una fabbrica possa ospitare questi spazi così a lungo, per problemi di sicurezza e per rispetto della normale gestione quotidiana della struttura aziendale. A mio avviso, quindi, sarebbe forse preferibile che gli hub delle fabbriche operassero in modo diverso.

Vale a dire?

Come hub mobili aperti per poco tempo, massimo una ventina di giorni, per vaccinare dipendenti e loro familiari.

All’inizio lei accennava alla disponibilità dei vaccini. Possibile che non ci siano le dosi?

Le aziende farmaceutiche stanno producendo da mesi a ritmo forsennato. Il ritrovamento ieri di 29 milioni di fiale “bloccate” in uno stabilimento di Latina perché destinate al Belgio conferma un sospetto.

Quale?

Le aziende farmaceutiche hanno probabilmente preferito onorare i contratti in pronta consegna con i paesi extra Ue, meno vincolati alle trafile burocratiche, autorizzazioni comprese. Piuttosto che monetizzare una vendita a tot giorni, hanno monetizzato sulla vendita diretta. A fugare ogni dubbio c’è la dichiarazione di Boris Johnson riportata dai giornali: il successo della campagna di vaccinazione in Gran Bretagna è “merito di capitalismo e avidità”. Vuol dire che la Gran Bretagna è stata addosso ai fornitori, ha lasciato all’Ue il “gioco sporco” delle valutazioni e poi l’ha bruciata allo sprint sull’autorizzazione e sull’approvvigionamento.

Basta questo “sotterfugio” per spiegare come mai in Gran Bretagna il piano vaccini stia procedendo a ritmi cinesi, con 800mila somministrazioni al giorno, una ogni 27 secondi?

No. La Gran Bretagna vanta altri meriti più “nobili”: oltre ad avere più vaccini, possono contare su migliaia di operatori sanitari, sistemi informativi efficienti, 3.123 maxi-hub vaccinali, più una miriade di piccoli siti – all’interno di cattedrali, supermercati, teatri… – sparsi sul territorio, secondo un modello organizzativo logistico basato sulla gestione delle scorte e sull’apertura dei centri vaccinali per 12 ore sette giorni su sette. Basti dire che ogni cittadino inglese dista non più di 15 chilometri da un centro vaccinale.

(Marco Biscella)

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