Man mano che escono in dettaglio i dati delle elezioni americane, viene da domandarsi in che mondo siano vissuti fino a ieri autorevoli sondaggisti ed editorialisti, che per settimane ci hanno convinto che Kamala Harris era avanti di 10-15 punti. Poco prima del voto finale sono diventati un po’ più prudenti, parlando di un testa-a-testa con una leggera prevalenza di uno o due punti per la Harris.



Un giorno prima del voto, una delle più autorevoli sondaggiste americane, Ann Selzer, se ne è venuta fuori con una sorprendente ricerca fatta in Iowa (Stato vinto ampiamente dai repubblicani sia nel 2016 che nel 2020) che dava la Harris avanti di 4 punti. Come a dire: se c’è questa rivoluzione in uno Stato solidamente repubblicano, figuriamoci negli altri.



Nel frattempo tutti i più accreditati sondaggisti (da Nate Silver allo storico Allan Litchman, che ha saputo prevedere con accuratezza tutti i risultati delle elezioni precedenti) annunciavano che Kamala Harris avrebbe vinto con un margine minimo di 1-2 punti.

Come un sol uomo (o meglio, un solo giornale) tutti i più importanti quotidiani e tv ripetevano lo stesso mantra. Particolarmente attivi nell’inneggiare alla Harris erano i corrispondenti della Rai, che da ieri, incredibilmente, hanno cominciato a sostenere che loro la vittoria di Trump l’avevano sempre prevista. No comment.

Per non tediare con i dati, basta citare il fatto che a dispetto di così autorevoli previsioni, Trump ha vinto con ampio e imprevisto distacco: a conteggio ancora da ultimare, ha conquistato 312 grandi elettori contro i 212 della Harris. Inoltre ha vinto (prima volta per il Gop) il voto popolare con il 51 e  conquistato il Senato, mentre risulta assai avanti alla Camera. In pratica, il 47esimo presidente degli Stati Uniti si appresta ad avere una opportunità unica di governare con una capacità di incidere sulla pubblica amministrazione, sulla politica economica, interna ed estera, come mai era avvenuto prima.



A questo punto sorge spontanea una domanda: a parte i sondaggisti – sempre sensibili al profumo dei soldi – dove sono finiti gli analisti e  sociologi che dovrebbero essere indipendenti dalla vulgata imposta (oramai è del tutto evidente) da uno Stato Profondo che controlla e gestisce ciò che si deve dire e sapere, come ha testimoniato Marc Zuckerberg, Ceo di Meta/Google, nella sua lettera pubblica (e non richiesta da nessuno) in cui ha confessato di aver aderito alla richiesta dell’FBI di sostenere che i contenuti del computer di Hunter Biden erano una fake news messa in giro dai russi? Il tutto per compiacere l’Amministrazione Biden.

Occorre dire che quella vulgata è stata talmente costante e asfissiante – complici da noi sia i grandi quotidiani, sia i diversi foglietti che vivono più di contributi pubblici che di lettori – che tutti hanno finito per crederci: corrispondenti esteri, editorialisti, anchorman, e pure le sgallettate biondine sempre con la biro tra le dita (ormai è una sorta di status symbol della giornalista rampante) che affollano gli studi dove si fa l’informazione televisiva.

Eppure dal Sussidiario avevamo avvertito per tempo che i lavoratori neri erano assai irritati con Biden e Harris per non aver fatto nulla per loro, che gli ispano-americani e i musulmani non gradivano affatto le sparate filo-aborto e filo-gender della Harris, che gli immigrati regolari erano preoccupatissimi per quelli irregolari lasciati entrare a milioni proprio dal presidente e dalla vicepresidente in carica, che le famiglie e l’esercito stesso temevano la volontà dell’amministrazione democratica di ingaggiare guerre ovunque.

Analizzando il voto nelle singole Contee si scopre che gli elettori hanno riportato nelle urne e alla lettera queste preoccupazioni, ribaltando le posizioni dei repubblicani che in passato erano assai più arretrate.

A nulla, poi, è servito lo scatenato appoggio a Kamala di molte personalità del mondo dell’informazione e dello spettacolo (da Oprah Winfrey a Bruce Springsteen, da Robert de Niro a George Clooney, da Beyoncé a Lady Gaga a Taylor Swift, solo per citarne alcuni).

Anzi. Ci voleva molto poco a capire che ai lavoratori e alle famiglie in lotta con un bilancio sempre più difficile da gestire, l’appoggio alla Harris di loro beniamini che però vivono nell’extralusso tra piscine e limousine avrebbe potuto incidere ben poco, se non addirittura risultare controproducente. Per non parlare di Jennifer Lopez e della sua frequentazione con l’imbarazzante Puff Daddy attualmente in prigione e accusato delle peggiori nefandezze svoltesi nella sua casa frequentatissima dai divi dello star system.

Davvero risibile oggi sentir dire che non votando la Harris, l’America dimostra ancora una volta il suo lato misogino e razzista. Se è vero che la pancia è il secondo cervello, vuol dire che questo cervello (la pancia degli elettori viene sempre giudicata con superiorità e disprezzo) non ha sopportato di vedere una persona oggettivamente inadeguata (giudizio basato sui suoi sconclusionati discorsi, sulla sua prossemica da persona spesso alticcia, sulle sue analisi confuse, sulle sue continue risate isteriche) pretendere di rappresentare gli Stati Uniti.

C’è un altro fenomeno che va tenuto in grande considerazione, ed è che la cosiddetta gente comune (la pancia, per l’appunto) non ne può letteralmente più delle imposizioni woke e del cosiddetto politicamente corretto, che in realtà è diventato un fascismo del pensiero.

Bastava unire i puntini: i lavoratori americani hanno smesso di bere la birra Budweiser da quando l’azienda ha messo sulla lattina della birra “Zero” una modella trans. Le famiglie hanno cominciato a boicottare i film della Disney troppo inzeppati di personaggi LGBT. Molte altre aziende, Harley Davidson in testa, hanno annunciato di non voler perseguire più una propaganda contrabbandata come responsabilità sociale, che oltretutto ha portato a perdite miliardarie in Borsa. Per non parlare della ribellione alle follie green, che non servono affatto a combattere il mutamento climatico, o alla imposizione di vaccini che in America hanno provocato un enorme numero di effetti avversi spesso fatali. Di conseguenza molti elettori hanno assai apprezzato la cooptazione di Bob Kennedy Jr. nel gruppo dirigente repubblicano con dirette responsabilità sulla salute pubblica.

Mettendo insieme tutti questi elementi, che erano a disposizione anche prima dei risultati elettorali, giornalisti e commentatori realmente indipendenti avrebbero potuto avvisare gli elettori di cosa stava succedendo. Se non lo hanno voluto fare, è perché temevano che avrebbero votato come hanno fatto.

Merita quindi sottolineare cosa ha detto al Sussidiario Marcello Foa: “I media hanno perso da tanti anni la loro indipendenza, sono diventati autoreferenziali illudendosi che con i titoli di giornali e telegiornali si possano influenzare gli umori della gente. In realtà, in America c’è un sentimento di sfiducia così forte nei confronti dei media che le campagne contro qualcuno, in questo caso Trump, finiscono per avere l’effetto opposto sulla grande massa del pubblico. I media non interpretano più il Paese reale, non esercitano più in maniera oggettiva il loro ruolo di contropotere; dunque, la loro opinione non influenza più le masse. Lo ha detto con molta chiarezza Jeff Bezos nel suo editoriale sul Washington Post. La stessa cosa accade anche in Italia”.

Un’ultima considerazione: Kamala Harris e Taylor Swift rappresentano specularmente e alla perfezione quella sinistra cosiddetta ZTL che alligna anche da noi. Una sinistra che ha abbandonato da tempo la difesa degli umili, dei lavoratori e delle famiglie, limitandosi a chiacchierare e sentenziare ai cocktail party, sulle terrazze romane e nei salotti televisivi. Ad osservare bene, anche Taylor Swift è musicalmente costruita sul nulla, tutta apparenza e niente sostanza. Raccoglierà pure 250 milioni di like (ma davvero?), che alla fine però non diventano voti.

Evidentemente il secondo cervello del popolo è ancora in grado di giudicare cosa è effimero e cosa conta davvero.

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