Non andrà certamente come l’ultima volta, nel 2017, quando il cardinal Bagnasco venne congedato dalla presidenza della Cei per aver raggiunto i 75 anni e gli venne preferito mons. Bassetti che di anni ne aveva proprio 75, mostrando a tutto il paese che il problema non era l’età ma la linea conservatrice che Bagnasco incarnava.
Non andrà così, ma anche questa volta la scelta del presidente della Cei sarà un atto politico, una dichiarazione di linea che tenterà di domare un “episcopato pre-conciliare che si presenta come post-conciliare”. Le parole sono proprio di Papa Francesco e il j’accuse è arrivato qualche settimana fa dalle colonne del Corriere della Sera, da dove il pontefice argentino ha di fatto ipotecato la nomina del nuovo presidente dei vescovi italiani dicendo che avrebbe preferito un cardinale per la delicata carica, a dimostrazione che il concetto di democrazia – oltre Tevere – stenta davvero a decollare.
Bisogna sapere, infatti, che fu proprio Francesco a chiedere che anche l’Italia – come le altre conferenze episcopali – eleggesse il proprio presidente senza che esso venisse deciso in solitudine dal papa. Ma i vescovi si mostrarono titubanti e il compromesso risultante fu quello attuale: i vescovi propongono una terna di nomi tra i quali il papa sceglie il presidente. Procedimento vanificato dalle indicazioni papali che, evidentemente, si ripropongono con decisione quando in un episcopato emerge una linea opposta a quella delle riforme.
Così il cerchio si stringe e, escluso il ruiniano Betori o il vescovo dell’Aquila Petrocchi prossimo ai 75 anni, sul tavolo restano tre nomi: Zuppi (Bologna), Lojudice (Siena) e De Donatis (vicario di Roma). De Donatis non gode più del favore del Papa: la sua azione romana è stata giudicata troppo debole e il prossimo anno potrebbe addirittura essere sostituito nel suo ruolo vicario.
Emergono così i due nuovi kingmaker della Chiesa italiana: Lojudice è un riformatore radicale che vorrebbe anche in Italia un’inchiesta indipendente sugli abusi sessuali nel clero, un bergogliano integerrimo pronto “ad un bel cambiamento”, secondo le parole del pontefice.
Zuppi è diverso: passato in sant’Egidio, moderato per definizione, il suo riformismo ben si confà al tessuto italiano che spesso recalcitra dinnanzi alle proposte papali. Se la scelta cadrà sul vescovo di Siena si configurerà una vera e propria rottura, anche emotiva, tra il Vaticano e la Cei, con quest’ultima di fatto commissariata. Se toccasse al vescovo di Bologna, al contrario, si realizzerebbe un delicato equilibrio dai risultati imprevedibili: è infatti la diplomazia a generare spesso le vittorie più insperate e non il muro contro muro.
Ma c’è una terza ipotesi, l’ipotesi che nella terna non venga indicato un cardinale ma un vescovo moderato. Un vescovo che, se scelto come presidente, restituirebbe davvero ai vescovi italiani autonomia e fiducia, riparando al distacco sentimentale che nella penisola ecclesiastica si respira verso il Vaticano di Francesco.
La partita è aperta. E quale che ne sia il risultato, l’orizzonte si spingerà certamente molto lontano. Verso quel 2027 che potrebbe trovare Roma non più così bergogliana. Magari in mano ad un vescovo nuovo, un vescovo che potrebbe avere il volto del segretario di Stato Parolin o, chissà, proprio del presidente della Cei che verrà.
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