Il chiacchiericcio sulle merendine, le baruffe sulla plastica, la parziale marcia indietro sulle auto aziendali, tutta la confusione su una manovra che, a tutt’oggi, è ancora una tela di Penelope, ha coperto di fumo due notizie importanti, davvero rivelatrici della situazione in cui si trova l’Italia. La prima viene dall’Istat, la seconda dal mondo del risparmio. L’Istituto di statistica ha calcolato che il prodotto lordo viaggia attorno allo zero (+0,1% è il risultato del terzo trimestre) e non ci sono segnali di miglioramento. Stagnazione, dunque. Così ci avviamo verso il nuovo anno. La politica economica del Governo non fa nulla per invertire la tendenza. La manovra non è recessiva, ma neppure espansiva, è stagnante come la congiuntura.



È deprimente che ci si accapigli attorno a piccoli balzelli e nessuno lanci un allarme sugli investimenti, quelli pubblici, che non partono nonostante le continue promesse, e quelli privati. Ciò avviene perché manca il denaro? No, e qui ci viene in soccorso l’Associazione delle casse di risparmio. In occasione dell’appuntamento annuale, l’Acri e l’Ipsos hanno condotto un’indagine dalla quale emerge che le famiglie stanno meglio, cresce la loro capacità di risparmiare e tornano ad aumentare i consumi. Tuttavia, gli italiani preferiscono restare liquidi e non vogliono investire quanto riescono a mettere da parte. Gli economisti lo chiamano atteggiamento cautelativo. Il problema è che il denaro non viene investito per mancanza di fiducia, per aspettative incerte sul piano politico non solo economico, per la mancanza di qualsiasi locomotiva che possa fare da traino.



Il sistema delle imprese si è dato da fare in questi anni, ma esportare non basta, tanto meno ora che il mercato internazionale perde colpi. Quanto al mercato interno, potrebbe essere sostenuto da quel rilancio delle infrastrutture più volte promesso, ma il Pd non ha il coraggio di mettere i grillini di fronte alle loro responsabilità. Torniamo così al vincolo che blocca la crescita.

Le cento tasse degli italiani è il titolo di un libro scritto nel 1986 da Giulio Tremonti e Giuseppe Vitaletti. Allora erano troppe, piccole, confuse, vessatorie, e non risolvevano niente, tanto meno la piaga dell’evasione. Dopo 33 anni sono diventate forse mille, ancor più confuse, vessatorie, controproducenti. Ogni Governo ha lasciato il segno aggiungendo qualcosa senza togliere nulla. Nonostante ciò, la spesa pubblica corrente è aumentata, da allora a oggi, più delle entrate, perché ogni Legge di bilancio è stata finanziata in deficit. Anche quella che dovrebbe presto cominciare il suo percorso parlamentare.



Se l’esecutivo in carica fosse “il Governo delle tasse”, come denuncia l’opposizione di destra, allora il deficit pubblico non crescerebbe ancora di 14 miliardi, a meno che la spesa corrente non corra ancora più veloce. Nella sua polemica la destra ha dimenticato l’aritmetica? Se fosse il Governo che riduce le imposte ai lavoratori dipendenti, come sostiene il Pd, non farebbe un taglio al cuneo fiscale tanto misero. Il 12% degli italiani paga il 58% dell’Irpef e la maggior parte di questi sono lavoratori dipendenti e pensionati sui quali si esercita il prelievo alla fonte. Se fosse il Governo della svolta ecologica come pretende il M5s, allora introdurrebbe veri incentivi alla riconversione industriale non si perderebbe dietro a mini tasse sulla plastica e sulle auto aziendali, facendo del resto parziale marcia indietro davanti a proteste del tutto corporative. Rischiare una crisi sulle auto aziendali rasenta davvero il ridicolo.

Allora che Governo è? È il Governo che s’inventa l’impossibile pur di non ridurre la spesa. Non tanto le tasse, quanto la spesa pubblica: questo è il tabù che il sistema politico, della prima, della seconda, della terza repubblica, non vuole violare, sull’altare di un consenso non democratico, ma clientelare. E tutti, va sottolineato tutti, hanno preferito imporre nuovi tributi piuttosto che rivedere la distribuzione delle prebende assistenziali.

Ogni volta che si parla di ridurre la spesa, si mente sapendo di mentire, perché in realtà si tratta tutt’al più di rallentare il suo tasso di crescita, partendo dal livello raggiunto nel passato. Politici e media imbrogliano: i cosiddetti tagli non riguardano lo stock, ma l’aumento previsto. Il grande inganno si consuma attorno a questo equivoco alimentato a bella posta. Il Governo giallo-rosso in questo non si distingue da quello giallo-verde.

Austerità, rigore, neoliberismo sono tutte etichette appiccicate per fare schermo a una verità ben diversa. La spesa pubblica per il vero welfare, si pensi alla sanità, potrebbe persino crescere se si avesse il coraggio di affrontare il ventre molle rappresentato dalle erogazioni monetarie e dalle cosiddette spese intermedie. È la giungla della spesa che fa da pendant alla giungla delle tasse.

Questa politica economica è fatta per galleggiare, sostiene Carlo Cottarelli, l’ultimo in ordine di tempo che ha cercato di mettere mano alla spesa pubblica e si è bruciato, anche lui, le dita. E galleggiare, aggiunge, è meglio che affondare. Ma se il mare si gonfia e le onde s’accavallano siamo sicuri che questa navicella piena di buchi riesca a restare in superficie?