Sabato notte a Mosca si è consumata l’ennesima tragedia dell’attuale guerra in Ucraina. Questa volta la vittima non è un’indifesa donna ucraina, ma una giovane donna russa, probabilmente “colpevole” di essere salita sull’auto sbagliata. La bomba che l’ha uccisa era destinata a suo padre Aleksandr G. Dugin, uno che è stato presentato dai media come l’ideologo di Putin.
Senza dimenticare l’orrore per l’attentato, chiunque l’abbia commesso, e che non può essere giustificato in nessun modo da quello suscitato per le ormai molte, troppe, vittime innocenti ucraine, vale la pena di andare un po’ più a fondo nel complicato universo della Russia di oggi e di ieri.
Dugin è certamente esponente di una cultura politica che ha le sue radici in un nazionalismo russo dove le categorie di destra e sinistra, così care ai commentatori nostrani, rivelano la loro assoluta inconsistenza. Quando l’Unione Sovietica si dissolse, Dugin si oppose prima a Gorbaciov, poi a Boris Eltsin. E non fu tenero, all’inizio, con lo stesso Putin, accusato di essere troppo morbido con gli Stati Uniti d’America. Arrivò a collaborare alla preparazione del nuovo programma politico del Partito Comunista di Gennadij Zjuganov, erede della tradizione sovietica.
Il punto fermo della sua dottrina è sempre stato l’odio verso l’Occidente, anche se tra i suoi maestri ha sempre citato René Guénon e Julius Evola, due che non venivano certo da oltre gli Urali. In verità la posizione politica di Dugin aveva radici profonde, quelle del neo-paganesimo slavo, nato, non solo in Russia, col nome di Rodveria. Costoro accusano il cristianesimo di aver reso inerte lo spirito originale degli slavi, legato ad una natura pura, selvaggia, compresa quella umana. Se la condanna del cattolicesimo, inteso come religione del mondo occidentale, è totale, alla Chiesa ortodossa si concede, a mala pena, il merito di aver conservato in alcune sue forme le tradizioni del popolo russo. Soprattutto dagli anni Duemila Dugin sviluppa il suo pensiero fondando il Partito Politico Panrusso Eurasia, che nel 2003 si trasforma in organizzazione non governativa col nome di Movimento Internazionale Eurasiatista.
Il fatto è che diversi movimenti nazionalisti non potranno mai unirsi se non occasionalmente per un interesse momentaneo e in generale solo per il prevalere di un nazionalismo sugli altri. Cosa che Dugin comincia a teorizzare affermando che solo la Russia potrà guidare questo movimento a cui aggregare i popoli e le culture dell’Asia, in una contrapposizione mortale col centro di potere degli Stati Uniti d’America.
In una conferenza tenuta da Dugin a Roma, in cui esponeva queste sue idee, fui l’unico a contestarlo, chiedendogli quale sarebbe stato secondo lui il ruolo dell’Europa, tenendo conto di quell’immagine che ne aveva dato Giovanni Paolo II parlando dei suoi due polmoni. E Dugin mi rispose, gentilmente, che all’Europa non restava che scegliere: o con noi o contro di noi. Ricordo che alla fine un giornalista, cosiddetto di sinistra, infastidito dal consenso che con il suo anti-americanismo Dugin aveva creato tra certi suoi “compagni”, mi disse: “Guarda un po’ reverendo, se devo sentire che un prete ha capito che tipo è quello lì. Di quello che dice c’è da aver paura”.
Occorre notare, per la verità, che nello stesso periodo ci furono altri esponenti che proposero altre immagini, altre prospettive di un mondo euroasiatico, ma quella di Dugin sembra ora aver trovato, con l’appoggio di Putin, la sua attuazione. E questa attuazione prevede come primo passo il “reinserimento” di molti popoli dell’ex Unione Sovietica nella loro casa naturale della Madre Russia. Di questo ucraini e georgiani sanno qualcosa.
E Navalny? Il povero Navalny? Non è oggi il campione dell’opposizione interna a Putin? Come ho già ricordato in un altro articolo, certamente oggi deve essere tutelato nella sua libertà di espressione, e prima ancora, nella sua integrità fisica. Chi conosce però l’attuale storia della Russia non può dimenticare che anche Navalny nasce come oppositore di Putin a partire da posizioni ultranazionaliste, e addirittura razziste, che provocarono la sua espulsione dal Partito Liberale moderato di Jabloka.
In sintesi. Per capire almeno qualcosa del mondo russo di oggi bisogna uscire da certi stereotipi di destra e sinistra che a mala pena esistono ancora in Occidente. In una società russa che si sente ancora umiliata da come è finita l’epopea sovietica, molto prima che dalla paura della Nato, in cui, tra l’altro, Putin avrebbe voluto entrare, oggi prevale in diverse forme un forte nazionalismo che ha, in gran parte, perso le proprie radici cristiane e che trova nella guerra una forma di sfogo anche autodistruttivo.
Con buona pace del Patriarca Kirill, che si sente leader spirituale di un mondo che quasi non esiste più, occorre, per chi ne ha il coraggio, un lungo e faticoso lavoro di recupero di una cultura in cui proprio i maggiori esponenti, pensate a Tolstoj e a Dostoevskij, già sentivano il malessere della crisi.
Di questo, fra l’altro, sarebbe bene che parlassero a Nur Sultan Papa Francesco e il Patriarca Krill.
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