Si tratta di un fatto molto importante. Il metropolita Hilarion, responsabile del Dipartimento relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, di fatto il numero due della gerarchia russo-ortodossa, è stato inviato a Budapest, in qualità di amministratore della Metropoli ungherese, con la perdita del rango di membro permanente del Santo Sinodo. Al suo posto è subentrato il metropolita Antonij di Korsun’.
Hilarion si era discostato dalla posizione ufficiale del Patriarcato, facendo notare sul canale Russia 24 le possibili gravi conseguenze di una guerra a tutti i livelli.
Il cambiamento può essere, certamente, liquidato come un atto di tensione all’interno della Chiesa russo-ortodossa, risolto a livello gerarchico, ma non è così. La posta in gioco è ben diversa e probabilmente, più centrale.
Hilarion, infatti, è un raffinato e potente studioso, non legato intellettualmente agli autori oggi in voga (Danilevskij, Il’in, Gumilev, ecc.) nei circoli conservatori (termine usato da Laruelle, Pipes, Robinson, Niqueux, ecc.) russi. Le sue ricerche riguardano la tradizione vivente e vitale della cristianità. Nel suo libro La Gloria del Nome. L’opera dello schimonaco Hilarion e la controversia athonita sul Nome di Dio all’inizio del XX secolo (Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 2002) cita il filosofo Aleksej Losev sulla preghiera di Gesù: “il più puro modello della mistica patristica orientale, che attraverso i palamiti e gli esicasti, Simeone il Nuovo Teologo, Massimo il Confessore, Dionigi l’Areopagita, Gregorio di Nissa, risale al neoplatonismo e a Platone” (La Gloria del Nome, cit., pp. 91-92).
La preghiera di Gesù, plurisecolare pratica monastica, consiste nella continua e ininterrotta ripetizione della frase: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Non si tratta di una sorta di mantra, per distaccarsi dalle tempeste della vita e trovare rifugio in una nicchia intima, ma di un attaccamento col cuore al centro della realtà e di un’esperienza profonda di comunione con Dio stesso. Una memoria continua davanti a una Presenza reale, frutto non di una sorta di emissione vocale, ma di un’energia, misteriosamente presente, dentro il Nome stesso. E la coscienza di essere peccatori con l’invocazione di una pietà necessariamente continua, capace di strappare attimo per attimo dal nulla.
In secondo luogo, bisogna ricordare l’attenzione estrema di Hilarion per sant’Isacco il Siro. In sant’Isacco arde il desiderio di una salvezza universale, in cui la misericordia precede la giustizia. Olivier Clément scrive sul santo di Ninive: “Gli accenti di Isacco sull’amore per gli esseri e per le cose sono sconvolgenti. La carità del cuore misericordioso diviene cosmica, la sua speranza non ha limiti, egli prega ‘perfino per i serpenti, perfino per i demoni’. Attraverso il dolore universale, la resurrezione di Cristo fa sì che egli percepisca la fiamma delle cose” (O. Clément, Alle fonti con i Padri, Città Nuova, 1987).
Dunque, la ricerca di Hilarion ribadisce la coscienza di essere peccatori e la domanda di salvezza universale davanti a un Dio filantropo: un altro modo di guardare a quanto sta accadendo ora.
La destinazione di Budapest è, poi, un segno che indica la profondità del mistero. Proprio a Budapest, al Congresso eucaristico del 2021, nel suo intervento del 6 settembre, Hilarion aveva detto che cattolici e ortodossi condividono che “nel pane e nel vino eucaristici, dopo la loro consacrazione, non abbiamo solo la presenza simbolica di Cristo, ma la sua presenza piena e reale”. Una vita diversa, insomma, pulsa già ora, indicando un destino comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli.
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