Con la scomparsa di Silvio Berlusconi si chiude un periodo della storia d’Italia, che probabilmente coincide con la fine della cosiddetta Seconda Repubblica. Sommerso dalle centinaia di coccodrilli, epitaffi, videomessaggi, preferisco raccontare come ho conosciuto e frequentato il Cavaliere in diverse fasi della mia vita professionale con qualche riflessione sul suo modo di operare e sulla sua personalità.
Nel 1976 avevo dato vita, insieme a molti appartenenti al movimento di CL, specie universitari, a una delle prime radio private di Milano. Dopo Radio Milano International erano nate Radio Montestella, e poi un paio di radio di orientamento politico di sinistra, come Canale96 e Radio Regione. In breve tempo, trasmettendo da uno scantinato e poi da un piccolo appartamento all’ultimo piano di via Statuto, avevamo raggiunto 120.000 ascoltatori parlando ai cattolici e ai moderati. Avevamo un palinsesto di 16 ore con programmi di musica, cultura, bambini, talk show e una squadra di oltre trecento universitari pronti a sguinzagliarsi ovunque per fornire informazioni locali ai notiziari.
In quel periodo Berlusconi stava sicuramente maturando l’idea di creare una concorrenza privata alla Rai, immaginando che avrebbe potuto essere un bel business oltre che una forma di resistenza a un pensiero troppo orientato a sinistra e imperante ovunque nel Paese. Fedele Confalonieri aveva ascoltato una delle nostre trasmissioni e ne aveva colto la diversità, anche nelle scelte attente alla creatività musicali di tutti i tempi, sempre accuratamente spiegate e contestualizzate. Così ci diede per tre anni un contributo per le spese generali, visto che tutto il lavoro veniva fatto a carattere volontario.
Fu uno splendido laboratorio, perché registrammo la Radio come “quotidiano radiofonico cittadino di informazione, musica e cultura”, diretto per la parte giornalistica da Fiorenzo Tagliabue. E fu così che molti aspiranti giornalisti poterono svolgere il praticantato presso Radio Supermilano, facendo poi tutti una bella carriera.
Fu così che Berlusconi mi conobbe, e mi invitò ai primi brain-storming sull’ipotesi di costruire una tv privata. Ci incontravamo nei suoi uffici di Foro Bonaparte e poi mi faceva salire sulla sua Fiat Argenta per andare insieme ad Arcore. Tra le tante cose, rimasi colpito dalla sua stanza di lavoro, protetta da una grande porta scorrevole d’acciaio (in puro stile Goldfinger) in cui c’erano una fila di tavoli disposti a quadrato, sui quali a ogni metro c’era un progetto da consultare o seguire, sia dal lato esterno che quello interno dei tavoli. Ricordo che mi mostrò con orgoglio i progetti di 14 quartieri residenziali simili a Milano 2 che gli aveva commissionato lo Sciah di Persia, che andarono in fumo quando Reza Pahlevi fu detronizzato. Non mi sembrò essersi scomposto più di tanto, forse era già molto preso dalle sue aspirazioni televisive.<
Corrisponde a verità, come ha detto Giorgia Meloni, che era un combattente incapace di arrendersi e spronato da ciò che ad altri appariva impossibile. Se pensiamo al significato di Tycoon si vede che gli calzava a pennello. Secondo la Treccani: “Magnate dell’economia e dell’industria, grande proprietario o dirigente industriale”. Ta significa «grande» e chun «dominatore”. In una parola, Silvio Berlusconi.
Non era facile lavorare con lui, la sua parola era sempre l’ultima, e corrisponde a mera verità che all’inizio dava consigli (ordini, per la verità) sulle luci, le inquadrature, gli studi, intervenendo sulla scelta di conduttori e artisti, ovviamente non sbagliando mai un colpo.
Seppe superare il limite delle trasmissioni in contemporanea in tutta Italia, inventandosi un sistema di distribuzione di quello che fu chiamato “il pizzone” con programmi registrati, consegnati il giorno dopo tramite una squadra di motociclisti. Una cosa impensabile fino ad allora. Alcuni pretori lo considerarono illecito…, ma intervenne Craxi facendogli un gran regalo con il decreto Berlusconi/Agnes, che ottenne l’approvazione del Pci che ne aveva ricavato in cambio molto più potere in Rai. Quel decreto era a tempo e doveva essere ogni volta prorogato. Fu Giuliano Amato (allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio) a comunicare il 3 gennaio 1986 che il decreto restava in vigore senza bisogno di proroghe: era nato il duopolio, ufficialmente confermato dalla legge Mammì nel 1990.
Dopo un po’ di frequentazioni mi propose di andare a lavorare da lui. Ma io preferii continuare la mia carriera di pubblicitario in grandi multinazionali dove il Presidente era un padrone assoluto, ma era lontano… Ci rincontrammo inevitabilmente a partire dal ’93, quando divenni presidente dell’Associazione italiana delle agenzie di pubblicità. Il mercato degli spot aveva tutte le sue attenzioni, e si capiva che avrebbe fatto volentieri a meno dell’intermediazione delle agenzie. Ci volle del bello e del buono per trovare una forma di convivenza, con anche molte cene ad Arcore insieme a tutti i miei dieci consiglieri (titolari di importanti agenzie) con annesse consorti. In quelle occasioni amava mostrare la sua munificenza: all’inizio del pranzo, undici camerieri depositavano davanti alle signore altrettante rose d’argento di Buccellati da circa mezzo chilo, mentre alla fine venivano distribuiti per lo champagne 22 flute in argento di Cartier, che poi ci venivano consegnati all’uscita in una scatola rossa. A volte si andava nelle grandi cantine sistemate a teatro, dove c’era un proiettore da 70 mm con cui ci avrebbe mostrato un film di prima visione. Com’era possibile? Semplice: mandava un autista a prendere la copia di scorta dai proiezionisti dei cinema di corso Vittorio Emanuele dietro apposita mancia. Copia che veniva restituita a mezzanotte. Era anche il suo modo per mostrare la sua passione per l’audiovisivo.
Certamente, come tutti i Tycoon aveva una grande disinvoltura, ma sinceramente non credo fosse diverso da altri imprenditori ancora più famosi. Semplicemente a lui la magistratura non ha perdonato tutto quello che ha perdonato ad altri.
A fine ’97 un mio amico senatore mi suggerì di mandare il mio cv a Mancino e Violante (Presidenti di Camera e Senato) perché stavano cercando i nuovi consiglieri della Rai dopo il tonfo del consiglio Siciliano. “Servirebbe qualcuno che se ne intende come te, invece non avviene mai”, mi disse. Lo feci, ma non ci pensai più, sapendo che ogni nomina avveniva per appoggi politici. Con mia grande sorpresa una sera scoprii dai tg di essere stato nominato “in quota Forza Italia”. Curioso, perché io non avevo mai fatto politica e da quasi quattro anni non avevo più rapporti con Berlusconi. Fu Mancino a spiegarmi che dopo tante trattative erano a un passo dal decidere, ma mancava ancora un nome ed era urgentissimo farlo. E quando si era parlato del mio, Berlusconi aveva esclamato: “Certo, è un professionista molto competente, ma non potete certo dire che sia ‘nostro'”. Ma i due presidenti forzarono la mano, e mi ritrovai sui giornali con quella didascalia sotto la mia foto. La mattina dopo ricevetti un divertente telegramma da Fedele Confalonieri che recitava così: “Scopro dai giornali che saresti di Forza Italia. Non lo sapevo. E forse neanche tu”.
Arrivato in Rai, visto che ero in minoranza, mi feci dare la delega ai nuovi media, e così mi occupai del futuro, facendo comunque le battaglie che si dovevano fare per cercare di riequilibrare un minimo lo strapotere guadagnato a suo tempo dal Pci e dai suoi eredi. Nessuno ci crederà, ma non ho mai ricevuto nessuna pressione o raccomandazione. Ogni tanto mi convocava a mezzanotte a palazzo Grazioli, per parlare a grandi linee del ruolo del servizio pubblico e delle tv commerciali. A lui ovviamente stava bene la mia idea che la Rai svolgesse un migliore servizio pubblico, non oltrepassando i limiti pubblicitari stabiliti dalla legge Mammì.
Ci fu un unico grande momento di crisi al momento del cosiddetto editto bulgaro, che conteneva un duro giudizio su Biagi, Santoro e Luttazzi. Fu certamente un atto politicamente scorretto, ma io posso testimoniare che le scelte da sinistra venivano fatte comunque e sempre dopo aver consultato i palazzi del potere. Berlusconi sbagliò a dirlo pubblicamente, mentre altri si servivano semplicemente del telefono. Nel frattempo io ero davvero costernato per il comportamento troppo scollacciato e osceno di Luttazzi, che consideravo inoltre uno che aveva copiato tutto dai suoi colleghi americani, come finalmente si è poi scoperto, e che alle dieci di sera faceva riprendere di schiena una ballerina su un tavolo mentre faceva la pipì, che poi lui raccoglieva in un bicchiere e se la beveva.
In seguito a quella scena avevo fatto un’agenzia: “Dopo l’ultima performance di Luttazzi ci manca solo la coprofagia”. Non l’avessi mai detto: nella puntata successiva si fece riprendere mentre sollevava un copripiatto d’argento mostrando una bella cacca arrotolata, ovviamente di cioccolata, mentre diceva: “In effetti il consigliere Contri mi ha dato un’ottima idea, e io ora eseguo”. Per me era troppo, e in un affollato convegno alla Bocconi dissi che non potevo più rimanere in un’azienda che si metteva il servizio pubblico sotto i piedi in quel modo. Berlusconi mi telefonò per dirmi: “Ecco, è la cosa giusta da fare”. Il giorno dopo avevo appuntamento a pranzo da Cossiga e così gli raccontai tutto. Lui si attaccò al telefono con Ciampi, e alla sera uscì un comunicato del Presidente in cui si riteneva non fosse il momento di creare turbolenze in Rai… e così tutto rientrò.
Per la verità io andavo già da tempo a trovare Biagi nel suo ufficetto in Galleria Vittorio Emanuele, ragionando di come fare una tv di qualità, e cercando anche di consigliargli un po’ di moderazione riguardo al Cav. Ma lui stesso mi diceva che era più forte di lui, e che Berlusconi non lo tollerava proprio.
Finito il mandato come consigliere, con Berlusconi presidente del Consiglio, riuscii a farmi nominare Amministratore delegato di Rainet – che era stata costituita in base alla mia delega ai nuovi media nel Cda Rai – e che costituì la solida base dell’attuale RaiPlay. Non a caso l’attuale direttrice Elena Capparelli allora era la mia principale collaboratrice per le attività editoriali. Fu davvero un bel gruppo di lavoro: il responsabile dei Servizi Generali di Rainet era l’avvocato Felice Ventura, oggi Direttore del Personale della Rai. Un anno dopo la mia nomina mi raggiunse come Presidente Giampaolo Rossi, oggi neo-Direttore Generale della Rai.
Sono certo che “il sistema” me lo concesse perché non c’erano appalti da gestire, conduttrici da raccomandare, e soprattutto nessuno sapeva esattamente cosa fosse. Come mi diceva Berlusconi nelle nostre chiacchierate serali: “Ma perché sei così appassionato di internet, dove si guadagna pochissimo?”. Aveva in parte ragione, perché allora la vera macchina da soldi erano gli spot televisivi, ma oggi molto, molto meno.
Rimane da dire, però, che se la concorrenza di Mediaset ha svegliato la Rai in termini tecnici e organizzativi, altrettanto non si può per il livello culturale del Paese, sceso in picchiata. Perché per catturare pubblicità la Rai si è messa a rincorrere la tv commerciale scendendo spesso a traguardi sempre più bassi. Non c’è bisogno di specificare; basta guardare in tv o ascoltare in radio certi programmi per essere sommersi da valanghe di relativismo etico e umorismo di grana grossa con gran contorno di sgallettate, del tutto insopportabile.
Ancora un aneddoto, molto significativo. In una delle mie cene in qualità di Presidente dei pubblicitari, Berlusconi mi fece visitare con grande orgoglio il mausoleo che si era fatto costruire da Pietro Cascella in giardino, in cui si scendeva tramite una scalinata di marmo bianco. Risalendo, notai sul prato un cippo bianco, senza nessuna scritta. Gli chiesi il perché, e lui rispose: “Ah sì, devo ancora farci scrivere ‘Cascella et Berlusconi fecerunt’, perché, sai, ho dovuto rifare io il progetto”. Quando lo raccontai a Montanelli durante un incontro occasionale, lui si illuminò e disse; “Vedi, ecco la conferma. In questa frase c’è tutto Berlusconi. Lui è sempre il più bravo di tutti”.
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