«A novembre inflazione scende al 10% nell’Eurozona. Prima inversione di tendenza dopo mesi di aumenti e di record». Questo il titolo della notizia Ansa battuta ieri alle 11:21. Solitamente poteva bastare questo breve accenno per poter assistere a un’immediata reazione rialzista del mercato, invece, nulla. Anzi. Accadeva esattamente il contrario. Preso atto di questa “inconsueta” dinamica, ovviamente si rendeva obbligatorio l’approfondimento della notizia e, iniziata la lettura, lo scenario prendeva forma: «A novembre l’inflazione nei Paesi dell’Eurozona è scesa al 10% rispetto al 10,6% registrato ad ottobre. È quanto segnala Eurostat in base alla prima stima flash. Si tratta della prima riduzione dopo mesi di crescita ininterrotta dovuta all’aumento dei pressi dell’energia e che ha fatto segnare all’andamento dei prezzi al consumo livelli record che non si registravano dagli anni ’80 e ’90».
L’istinto, prontamente, identificava questa notizia con un giudizio positivo, ma, come sempre, è il mercato ad avere ragione e in mancanza di riscontro è necessario porsi qualche domanda. Proseguendo nella lettura si apprendeva, inoltre, del dato sull’inflazione italiana: «In Italia, l’inflazione in forte rallentamento su base mensile e stabile su anno, sembra aver esaurito la sua spinta d’accelerazione anche grazie al calo degli energetici non regolamentati». Sulla base di quest’ultima considerazione, da noi tanto attesa, la consultazione dell’intero rapporto Istat era pressoché scontata.
«Secondo le stime preliminari, nel mese di novembre 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,5% su base mensile e dell’11,8% su base annua (come nel mese precedente)». Lo ammettiamo: è stata necessaria una pausa e poi una rilettura nonostante il dato sia apparso chiaro e compreso fin da subito. A novembre, l’Italia, registra un rialzo mensile dello 0,5% con un’immutata variazione tendenziale su base annua: ferma all’11,8% («come nel mese precedente»).
Obbligatoria la tempestiva lettura del successivo “Commento”: «Dopo la brusca accelerazione di ottobre, a novembre 2022 l’inflazione, che rimane a livelli che non si vedevano da marzo 1984 (quando fu +11,9%), è stabile. I prezzi di alcune componenti, che ne avevano sostenuto l’ascesa, tra cui gli energetici non regolamentati e in misura minore gli alimentari non lavorati, rallentano su base annua, mentre quelli di altre componenti continuano ad accelerare, tra cui gli energetici regolamentati e in misura minore gli alimentari lavorati».
Non è ancora sufficiente. Non ci basta. Voltiamo la pagina e subito lo sguardo individua l’ultima riga delle serie storiche riportate: “Indici, variazioni congiunturali e tendenziali: 118,7, +0,5, 11,8”. Ovvero: il rialzo mensile è confermato (ovviamente) al pari dell’assenza di variazioni sui rispettivi valori tendenziali.
Non è chiaro o meglio: il consueto “Commento” ha sufficientemente motivato questa sorta di “compensazione” avvenuta tra prezzi di specifiche componenti che, nell’arco di questo ultimo mese hanno controbilanciato il loro stesso paniere contribuendo, pertanto, a un parziale squilibrio finale tra la variazione mensile e quella su base tendenziale. Ma, oggettivamente, a quanto ammonta la rivalutazione (ennesima) della sola “tipologia energetica”? Beni energetici regolamentati: +3,0. Beni energetici non regolamentati: +2,2.
Potremmo archiviare questa variazione mensile come “modesta” se raffrontata a quella di due settimana fa (rif. Istat – Prezzi al consumo dati definitivi) dove, in tale sede, l’ammontare dei due precedenti beni evidenziava rispettivamente un incremento pari ad un +26,9 e 46,4 per cento con, inoltre, un “Commento” a margine che denunciava: «Sono per lo più i Beni energetici, sia quelli regolamentati sia quelli non regolamentati, a spiegare la straordinaria accelerazione dell’inflazione di ottobre 2022».
Ebbene, ieri, la rilevazione di Istat non ha soddisfatto le nostre iniziali aspettative che, fin dalla vigilia della loro diffusione, ci vedeva favorevoli nell’assistere a un dato migliore: ancor più vero se si dovesse estendere l’osservazione a quanto riportato nelle ore precedenti da Germania (-0,5%) e Spagna (-0,1%).
I numeri sono incontestabili e, questa volta, dobbiamo arrenderci a loro. Prescindendo da una naturale e momentanea negazione di carattere soggettivo, però, rimaniamo convinti di non aver sbagliato le nostre precedenti valutazioni e, di fatto, è la stessa Istat a confermare tale view sempre nel suo “Commento”: «Se nei prossimi mesi continuasse la discesa in corso dei prezzi all’ingrosso del gas e di altre materie prime, il fuoco dell’inflazione, che ha caratterizzato sin qui l’anno in corso, potrebbe iniziare a ritirarsi».
Come ovvio, senza nulla togliere al principale Istituto nazionale e soprattutto senza alcuna forma di irrigidimento, questo «fuoco dell’inflazione», per noi, si è già ritirato. A novembre.
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