La depressione, si sa ormai da tempo come confermano studi dell’Organizzazione mondiale della sanità, è la malattia più diffusa al mondo destinata solo ad aumentare. I motivi sono tanti e variano di persona in persona, ma certamente contribuisce l’esasperato stile di vita della società contemporanea: competizione, orari di lavoro stressanti, limitazione degli spazi personali e intimi, tecnologie che isolano le persone in spazi virtuali. Tale quadro colpisce anche a livello economico: persone che si assentano dal lavoro per motivi di salute, spese sanitarie specializzate esose. Il cardiologo argentino e professore di etica, bioetica, antropologia filosofica e antropologia medica in varie università del suo paese e all’estero Mario Caponetto, in una intervista sul sito spagnolo Infocatolica, offre una analisi inedita e molto interessante di questa situazione, incentrandolo sulla sua visione cristiana della vita. La depressione come sappiamo oltre che con analisti e psicologi specializzati con cui dialogare, si cura con farmaci appositi. Ma, dice Caporetto, non è una malattia del corpo, come un tumore, eppure agisce sui neuroni del cervello. Cosa significa questo? Se lo chiede lo stesso medico: “esiste una relazione tra la malattia, a suo modo, e la situazione sociale, culturale e persino spirituale di una certa epoca? Questo aumento della depressione mantiene un nesso causale con ciò che chiamiamo postmodernità? Il che ci porta ancora a una domanda più fondamentale: l’uomo si ammala solo per cause che dipendono semplicemente dal mondo fisico o anche per altri fattori?”. Cita gli studi di importanti psichiatri come l’austriaco Viktor Frankl che “parlando di quello che lui chiama “il vuoto esistenziale”dicendo che questo vuoto non è di per sé patologico (significa che non è una malattia in un senso specificamente medico poiché è un problema umano) ma può essere patogeno, cioè , può portare l’uomo alla fine della malattia”.
UNA NUOVA ANTROPOLOGIA MEDICA
Come è possibile allora che un problema spirituale diventi una malattia con fattori biologici e oggettivi come i neurotrasmettitori del cervello? Per Caponetto questo apre a una dimensione, la prova dell’esistenza dell’anima, cioè depressione come malattia dell’anima che agisce sul corpo: “Il campo che ci si apre a questo punto è vasto: corrisponde a un’antropologia medica fondata sulla verità dell’uomo come creatura corporea psichica, una sostanziale unità di anima e corpo, per trovare le spiegazioni pertinenti”. Una insoddisfazione umana, una mancanza di senso, che Caponetto sintetizza con la frase di sant’Agostino: “Ci hai fatto per te, Signore, e i nostri cuori sono irrequieti finché non riposano in te”. Questa irrequietezza del cuore umano, che è caratteristica dello stato di viatorisin cui ora ci troviamo, è la fonte ultima dalla quale tutta l’insoddisfazione, tutti i flussi di angoscia, quelli che diventano ancora più grandi se non c’è speranza di raggiungere quel termine finale di tutte le nostre preoccupazioni che è Dio. L’angoscia e la speranza svolgono un ruolo essenziale a questo punto. Quello che succede è che sia l’angoscia che la speranza, hanno perso il loro senso cristiano, sono state secolarizzate per dirlo in quel modo.Quindi l’angoscia non è più aperta irrequietezza ma un vicolo cieco, un’angoscia immanente, chiusa su se stessa; e per quanto riguarda la speranza o, piuttosto, le speranze troppo umane, diventano disperazione, nichilismo”. E’ dunque l’immanentismo radicale dell’epoca moderna che ha censurato ogni possibilità di trascendenza, di cui la depressione è campanello d’allarme: privato l’uomo del suo aspetto spirituale, ecco che esso si ammala. Con una battuta, ma mica tanto, Caponetto conclude che gli psichiatri hanno oggi preso il posto che un tempo avevano i confessori.