Stimolare le difese immunitarie serve a migliorare la risposta alle cure nei pazienti con depressione e disturbo bipolare. A rivelarlo è uno studio italiano finanziato dell’Ue, pubblicato su ‘Brain Behavior and Immunity’ e firmato da Francesco Benedetti, responsabile dell’Unità di ricerca in Psichiatria e Psicobiologia clinica dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano-Turro e professore di Psichiatria all’università Vita-Salute San Raffaele, e da Sara Poletti, ricercatrice dell’Unità di Psichiatria e Psicobiologia del San Raffaele-Turro. Secondo gli autori la ricerca dimostra “per la prima volta la sicurezza e l’efficacia della somministrazione di interleuchina-2 a basso dosaggio in pazienti depressi con disturbo depressivo maggiore (Mdd) e bipolare (Bd)”.



Spesso nelle cure si registrano molte ricadute, portando a quella che gli esperti chiamano depressione resistente al trattamento. Gli esiti sono ancora peggiori nel disturbo bipolare che ha un alto tasso di insuccesso. La depressione è inoltre accompagnata da uno stato infiammatorio che investe l’intero organismo quando resiste alle terapie tradizionali. Come sottolineato dallo studio del San Raffaele, i pazienti depressi sono più vulnerabili alle malattie infiammatorie e autoimmuni. Proprio queste patologie possono scatenare la depressione anche in chi non ne ha mai sofferto. Da qui è nata l’ipotesi degli scienziati di stimolare le componenti regolatorie del sistema immunitario, non bloccando le sue funzioni ma indirizzandone l’attività, spiega Nurse Times.



Stimolare le difese immunitarie per curare la depressione: “Nuovo modo di intervenire sui trattamenti”

Gli esperti del San Raffaele hanno utilizzato l’interleuchina-2 (Il-2), una molecola normalmente presente nell’organismo con funzioni di immunomodulazione, in grado di influenzare l’attività dei linfociti T: questa stimola la produzione di nuove cellule e le loro funzioni regolatorie su immunità e infiammazione. La sua azione antinfiammatoria è già nota in altre patologie autoimmuni ed è già in uso sul mercato. Il lavoro ha confermato che “i meccanismi immuno-infiammatori rappresentano obiettivi promettenti per la farmacologia antidepressiva, e che la correzione degli squilibri tra le componenti infiammatorie e regolatorie del nostro sistema immunitario può costituire una nuova strategia terapeutica per la depressione resistente”.



Secondo Poletti questo “è il primo studio di controllo randomizzato a supporto dell’ipotesi che il trattamento per rafforzare il sistema immunitario, e in particolare le cellule T, può essere un modo efficace per correggere le anomalie immuno-infiammatorie associate ai disturbi dell’umore e, al tempo stesso, potenziare la risposta antidepressiva”. È d’accordo Benedetti: “Pensiamo che i nostri studi possano già modificare la pratica clinica. Abbiamo infatti evidenziato con questa ricerca gli effetti terapeutici di interleuchina-2 a basso dosaggio senza rilevare effetti collaterali. Speriamo che queste evidenze aprano ora la strada a un nuovo modo di intervenire sulla depressione resistente ai trattamenti”.