Il Governo sembra voler intervenire sul sistema fiscale con l’obiettivo di incentivare la natalità, visto il minimo storico di nascite che è stato registrato in Italia lo scorso anno. Il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, ha lanciato l’idea di non far pagare le tasse a chi ha figli e Massimo Bitonci, sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy, l’ha tradotta nella proposta (illustrata ieri su queste pagine) di una detrazione fiscale di 10.000 euro per ogni figlio a carico.
Una misura che avrebbe un costo non indifferente. «Sono totalmente d’accordo – è il primo commento di Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – sulla necessità di muoversi in direzione di una qualche formula legata al quoziente familiare. L’importante è che parta, come sembra dalla proposta di Bitonci, dal primo figlio».
Difficile dire quanto potrebbe costare un intervento di questo genere. Se però consideriamo tutti i 9 milioni di minorenni italiani e ipotizziamo una detrazione di 10.000 euro, arriviamo a 90 miliardi di euro. Dove si potrebbe reperire una somma simile stanti i vincoli di bilancio esistenti?
Indubbiamente un bacino ricco da cui attingere è quello della lotta all’evasione fiscale, quantificata in circa 100 miliardi di euro. Concentrandosi solo sull’Iva, la somma recuperabile ammonta grosso modo a 28 miliardi di euro. Queste sarebbero risorse aggiuntive rispetto al gettito esistente.
Il sottosegretario Bitonci ha parlato anche di coperture che potrebbero arrivare dal riordino delle detrazioni e deduzioni esistenti, le cosiddette tax expenditures: un’operazione prevista nel disegno di legge delega sulla riforma fiscale.
Sì, ovviamente per evitare di dar luogo a una manovra a “impatto zero” sulle famiglie (l’introduzione di una nuova detrazione e la cancellazione di altre già esistenti), bisognerebbe stornare quelle che favoriscono altre categorie. È chiaro che alla base di un’operazione del genere deve esserci, però, una forte scelta politica.
Parte delle risorse potrebbe anche essere recuperata sostituendo l’Assegno unico, per il quale sono stati stanziati 18 miliardi, con questa detrazione.
Per quanto imperfetto, credo che sarebbe meglio non cancellare l’assegno unico, quanto meno perché in grado di coprire gli incapienti fiscali. Diversamente bisognerebbe trovare il modo di non lasciare senza coperture chi non ha redditi o chi li ha troppo bassi per raggiungere l’importo di questa nuova detrazione per i figli.
Potrebbe aver senso, anche per alleggerirne il costo, prevedere che questa nuova detrazione decresca all’aumentare dei redditi?
Sì, una scelta di questo genere potrebbe aiutare a far quadrare i conti, considerando oltretutto che una parte di queste detrazioni alimenterebbero i consumi di beni e servizi riportando, quindi, risorse all’erario e che nelle fasce di reddito più basse c’è minor propensione al risparmio.
È più facile, insomma, che le risorse date ai redditi più alti si trasformino in risparmio piuttosto che in consumi.
Esatto. Mi lasci aggiungere una considerazione relativa al problema della natalità, che da un certo punto di vista rappresenta un indicatore implacabile delle condizioni economiche e sociali di un Paese.
Prego.
Non sono un demografo, ma osservo che in Italia col passare del tempo cresce l’età a cui una donna ha il primo figlio. Più questa età aumenta, più c’è il rischio che poi sia troppo tardi per avere altri figli. Bisognerebbe invertire questo trend. E non è da trascurare anche la scelta di alcune coppie di non avere figli. Non è un tema che riguarda solo i sociologi, ci sono anche questioni economiche collegate.
Quali?
Quelle legate all’insufficienza dei redditi, alla stabilità del lavoro, alla possibilità che sia conciliabile con la cura dei figli, anche tramite sovvenzioni per il babysitting, come avviene all’estero. Occorre poi una rete di servizi che non riguarda solo gli asili nido: quando le scuole sono chiuse d’estate, ci sono famiglie che non sanno a chi lasciare i loro figli durante l’orario di lavoro. Lavoro stabile, ben retribuito, conciliabile con la vita famigliare: si tratta di fattori che in altri Paesi, specie in Germania, hanno dato un forte contributo all’ aumento delle nascite. La denatalità non è un fatto isolabile dal resto della società. In Italia, purtroppo, la filiera che lega le generazioni e la società, una catena fatta di anelli la cui forza dipende, come sempre, dall’anello più debole, si è rotta.
(Lorenzo Torrisi)
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