La fusione tra Deutsche Bank e Commerzabank è da ieri ufficialmente saltata; troppe sono state le opposizioni dei sindacati, degli investitori, così ci dicono, e anche dalle istituzioni europee. La fusione era la risposta ai problemi che da molto tempo affliggono le due banche, con i titoli azionari depressi e i timori sulla loro solidità; un problema per il governo tedesco, che giustamente vuole preservare una componente così fondamentale del suo sistema economico e che, tramite la sua partecipazione in Commerzbank, sarebbe diventato l’azionista di maggioranza relativa del “campione tedesco”. Parlare di questa vicenda e nel frattempo pensare a quello che si è sentito dire in Italia negli ultimi anni con alcune tesi veramente assurde spacciate come verità scientifiche è molto utile.



Nessuno, nemmeno gli investitori più bravi, sa esattamente cosa ci sia nella pancia di una banca, quali siano i crediti e le attività. Infatti neanche gli esperti delle agenzie di rating avevano capito assolutamente nulla di quello che c’era in Lehman Brothers. Figurate cosa possano capire tutti gli altri. Gli indici che vengono pubblicati, le analisi di “sensitivity” hanno un valore molto relativo, soprattutto quando accadono recessioni o crisi finanziarie globali. Se un’economia va in recessione è tutto il portafoglio crediti di una banca che “si ammala”, esattamente come si ammala tutto il portafoglio di attività se c’è una crisi come Lehman; al contrario, quando l’economia tira anche qualche credito malato non preoccupa. In una crisi invece succede che le banche più “chiacchierate” o dei Paesi o regioni più colpite comincino a fare fatica a finanziarsi; i correntisti scappano, gli investitori non sottoscrivono le obbligazioni ecc. Chi presta i soldi a una banca con i buchi? Chi ci lascia i soldi dello stipendio? Serve a poco un “aumento di capitale”, perché nessuno sa quanto grande sia il buco.



È per questo che l’unico attore in grado di puntellare definitivamente la situazione è quello che non ha limiti di spesa e cioè lo Stato. Non è quello che abbiamo visto dal 2008 in poi per una schiera di banche fallite? Dagli Stati Uniti al Regno Unito, dall’Olanda alla Germania ecc.

Oggi, soprattutto se si aprisse una nuova fase di “volatilità” sui mercati, l’unico attore che potrebbe fermare la speculazione e puntellare Deutsche Bank sarebbe lo Stato tedesco con i soldi dei contribuenti. Ed è ciò che la Germania fa benissimo a perseguire con costanza, nonostante le critiche e nonostante la Ue, perché gli effetti negativi di un fallimento di Deutsche Bank sarebbero molto superiori a qualsiasi costo. Il governo tedesco, giustamente, vuole fare l’unica cosa che si deve fare e più passa il tempo, più aumentano gli intralci più il problema peggiora. Il problema è solo “politico” e cioè come far digerire a una vasta platea di spettatori, dagli investitori ai contribuenti, agli “amici” europei il salvataggio.



Leggiamo pure le vicende italiane alla luce di questa vicenda. Se una banca non ha uno Stato che la può salvare come prestatore di ultima istanza o se uno Stato non ha questo potere perché, per esempio, è inserito in una costruzione che lo impedisce, cosa succede? Succede che le banche di quel Paese chiudono e i soldi migrano immediatamente verso le banche degli Stati che hanno quel potere. E l’economia paga un conto salatissimo via crisi di fiducia. E chi dice che c’è un problema di debito è un pazzo, perché i problemi di quell’economia di gran lunga eccederanno i costi di qualsiasi incremento del debito. Come abbiamo visto in Italia.

A proposito ricordiamo che il sistema bancario tedesco, la migliore economia dell’area euro non a caso, è ancora oggi dominato da banche cooperative, casse di risparmio e banche regionali. Giustamente. Perché sono queste le banche che finanziano meglio le imprese, soprattutto quando sono medie o piccole. Sono queste le banche che riducono meglio il rischio sistemico, per una banalissima ragione di diversificazione. Ci sono Stati americani che hanno più banche locali di tutta l’Italia.

Allora leggiamo pure il processo che si è avuto in Italia, con una concentrazione bancaria senza paragoni, con l’eliminazione delle popolari e il consolidamento forzato delle banche di risparmio con il fallimento evitabilissimo, soprattutto nei suoi effetti peggiori, di alcune banche locali e facciamoci delle domande sulle ragioni per cui ci comportiamo così diversamente dalla migliore economia continentale o, perché no?, da quella americana. Ma d’altronde controllare poche banche determinando le politiche di credito e dirigendo i risparmi da un’altra parte è molto più facile che controllarne molte. L’Italia colonia ha bisogno di un vincolo esterno anche in questo. Quel vincolo esterno che a furia di avanzi primari, tagli ai salari e alla spesa pubblica buona, l’ha distrutta. Ma tutto vale per costruire il sogno del superstato degli altri (“l’Unione Europea”) e quello molto meno nobile ma altrettanto importante di pagare le rendite che stanno sui mercati. Con la moneta “tecnocratica” perfetta per questo, una banca centrale senza il “check and balance” di uno Stato e la deflazione che ne scaturisce; da sempre il meglio del meglio per le rendite dei “club”. Qua in Italia lo chiamano progresso, in realtà è solo una rapina di bassissimo livello.

A proposito, bisognerebbe chiedersi che parte abbiano nella commedia i sedicenti ottimati che difendono tutto questo; mentre i poveri non capiscono gli enormi benefici dell’avvenire e per questo, come si sente sempre più spesso dire, non dovrebbero poter votare. Come se le casse di risparmio o i diritti dei lavoratori fossero arrivati per gentile concessione dell’allora classe “dominante”…