“L’Italia ha cessato di esistere come entità geopolitica”. Commenta così Gianandrea Gaiani, esperto di politica estera e direttore di Analisi difesa, la visita del ministro degli Esteri Di Maio a Tripoli allo scopo di rilanciare la presenza economica e commerciale italiana in Libia. “Di Maio è già stato più volte in Libia e Tunisia ma senza incassare risultati concreti sul fronte dei flussi migratori e rispetto al dilagante dominio turco a Tripoli e Misurata” spiega Gaiani al Sussidiario.



Basti pensare che Malta, continua Gaiani, il 5 agosto, nell’indifferenza generale ha fatto un accordo sul contrasto all’immigrazione illegale con Libia e Turchia, da cui si intuisce che La Valletta riconosce la Turchia come la potenza di riferimento in Libia. L’ombra turca si estende ormai al di là del Mediterraneo orientale e l’Italia si trova a essere del tutto subalterna alla Turchia nella questione libica.



Che cosa sta succedendo?

Premesso che a giudicare dal dibattito politico pare che per la maggioranza contino solo gli equilibri necessari a tenere in piedi un governo traballante, l’Italia ha cessato di esistere come entità geopolitica, abbiamo rinunciato a tutelare gli interessi nazionali.

La missione di Di Maio a Tripoli?

Gli impegni presi, in sé positivi anche per i risvolti economici, restano per ora sulla carta, perché la Libia non è ancora stabilizzata e il processo per stabilizzarla non dipende da Roma ma, se ci riusciranno, dai veri big player: Russia, Turchia, Emirati, Egitto, che hanno giocato un ruolo anche militare nella crisi della nostra ex colonia. Noi possiamo rinnovare o rilanciare vecchi accordi economici e commerciali con Tripoli, ma dobbiamo ricordarci che gli indirizzi del governo di Tripoli li decidono ad Ankara e a Doha. L’Italia è in seconda linea, con una capacità di influenza assai limitata.



Un nuovo attore del Mediterraneo, la Turchia, sta ufficializzando la sua posizione egemonica sulla Libia.

In Tripolitania c’erano due attori principali: l’Italia e la Turchia. L’Italia negli ultimi 9 mesi ha smesso di giocare quella partita, mentre i turchi sono tornati in forze nel loro vecchio possedimento: in pochi mesi hanno liberato Tripoli dall’assedio di Haftar fornendo truppe, mezzi, armi e oltre 15mila mercenari siriani e adesso giocano da una posizione di forza, specie dopo aver firmato col Qatar e il governo di Tripoli l’accordo per l’uso di due basi militari in Libia per 99 anni.

Poi ci sono le tensioni nel Mediterraneo orientale. L’Italia come si colloca? 

Ci sono paesi che hanno assunto posizioni in favore di Grecia e Cipro, come la Francia, che lo ha fatto impegnando navi, aerei e ora la portaerei De Gaulle. Poi c’è l’Italia che dice di essere per il dialogo tra le parti, che però potrà avvenire solo dopo la ricerca da parte dei contendenti di posizioni di forza anche con l’uso degli strumenti militari. Strumenti a cui l’Italia, che pure ha le forze militari più moderne e potenti del Mediterraneo, ha da tempo cessato di fare ricorso, anche a scopo deterrente, col risultato che Roma è sempre marginale, in posizione di debolezza anche a due passi dalle acque di casa.

Quando Erdogan dice “Cipro e la Grecia facciano bene i loro conti, perché se si mettono contro di noi la pagheranno cara”?

Sta facendo una minaccia a cui si risponde con affermazioni altrettanto nette e mettendo in campo uno strumento militare credibile. Se noi ci limitiamo di fare un’esercitazione da una parte e mandare una nave dall’altra, allora la linea italiana sarà senza efficacia, resteremo neutrali ma verremo considerati da tutti irrilevanti e incapaci di assumere una posizione definita.

La Francia si sta comportando in modo diverso, non aggressivo ma fermo.

La Francia ha mandato due navi da guerra e due aerei da combattimento al fianco dei greci (e ora invieranno di nuovo la portaerei De Gaulle), così come gli Emirati Arabi, che hanno mandato quattro caccia F-16 a Creta, sempre in supporto alla Grecia. Queste mosse equivalgono a dire: “i turchi non pensino di potersi prendere il Mediterraneo orientale”.

Come dobbiamo comportarci con i turchi in Libia?

Ora che abbiamo lasciato ai turchi il predominio sulla Tripolitania, non abbiamo scelta, siamo costretti a non ostacolarli, a non dar loro fastidio. Hanno due coltelli dalla parte del manico: potrebbero minacciare di mandarci via dalla Tripolitania, di cacciare i nostri militari e le nostre aziende (inclusa l’Eni) e potrebbero mandarci nuove ondate di clandestini dalla Libia. I turchi sono oggi in una posizione egemonica nei confronti del sempre più debole governo di Tripoli, e noi siamo sotto pressione.

L’Eni ha un ruolo consolidato in Libia, una sua estromissione sarebbe disastrosa.

Sarebbe disastrosa per noi, ma anche per i libici. Però i turchi sono prontissimi a prendere il nostro posto. Hanno fatto un accordo col Qatar che rende il porto di Misurata una base militare turca, e l’aeroporto è già da tempo presidiato dalle loro forze, come quello di al-Watya, non lontano dal confine tunisino. Mentre la nostra missione sanitaria basata all’aeroporto di Misurata verrà spostata fuori dalla città. Andare contro i turchi ora sarebbe disastroso per noi ma il problema avremmo dovuto porcelo prima di lasciare carta bianca ad Ankara in Libia. Del resto l’assenza di una visione strategica resta il principale gap dell’attuale governo italiano.

Se a questo quadro aggiungiamo il patto di Malta del 5 agosto, sembra che l’influenza turca arrivi fino alle nostre porte.

Era uno scenario già delineato anni fa, e oggi ammesso dallo stesso Renzi che, presentando il suo libro a Forte dei Marmi, ha detto: “Mentre noi eravamo alle prese col Covid, i turchi si sono presi la Libia”. Il problema è che lui, in quei mesi, era al governo. Le operazioni militari in Libia tra aprile e giugno si sono sviluppate sotto i nostri occhi, anche se i nostri media e i nostri politici non ne parlavano e non prendevano decisioni, non assumevano iniziative. Mi chiedo se al governo qualcuno leggesse i rapporti forniti in proposito dai nostri militari e dall’intelligence.

Intanto un attore importante come Haftar veniva marginalizzato.

Haftar dalla sua parte ha gli Emirati, l’Egitto, i sauditi, i russi. È per questo che adesso gli americani si stanno interessando di nuovo della Libia, perché sapere che in quel territorio ci sono basi russe non gli fa certo piacere. È vero che dopo la sconfitta subita nell’offensiva su Tripoli, Haftar è finito ai margini consentendo al presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, di diventare l’uomo chiave in Cirenaica per questa fase di dialogo e cessate il fuoco. Ciò non significa però che Haftar sia fuori dai giochi.

(Lucio Valentini)