Nino Di Matteo boccia il disegno di legge Bonafede con le nuove misure sulla magistratura. Il pm antimafia e consigliere Csm vede più ombre che luci. «Complessivamente non mi pare una buona riforma», dichiara in un’intervista rilasciata il 9 agosto. Sono parole pesanti quelle che usa per analizzare la riforma, dietro cui vede «una reazione improntata alla velocità, per lo più apparente». Ma soprattutto cela «l’intento demagogico di dimostrare all’opinione pubblica di voler porre finire a fenomeni degenerativi nel Csm e in parte alla magistratura». Il problema per Di Matteo è che però non affronta le “patologie”, cioè il correntismo, il collateralismo con la politica, il carrierismo, la burocratizzazione e gerarchizzazione degli uffici di procura. Infatti il sistema elettorale del Csm è «inadeguato alla soluzione del problema», anzi c’è il rischio di aggravarlo.



La riforma Bonafede, dunque, è tutt’altro che una “spazzacorrotti”. «A scapito di minoranze e candidati indipendenti, favorirà le correnti a più forte radicamento territoriale. Il cui potere, che non si esplica solo alle elezioni, non sarà scalfito senza riforma radicali». Per riforme radicali, ad esempio, Nino Di Matteo intende un sorteggio per selezionare i candidati da sottoporre alle elezioni del Csm. «Mi pare l’unico modo per scardinare in radice il potere delle correnti, senza incorrere nell’incostituzionalità». Ma suggerisce anche la rotazione triennale, così da azzerare la corsa agli incarichi direttivi e semidirettivi, «che rischia di trasformare i dirigenti degli uffici in capi».



DI MATTEO CONTRO RIFORMA BONAFEDE “DEMAGOGICA”

Nino Di Matteo ricorda anche i tempi in cui i giovani pm si “accapigliavano” per avere i processi più delicati e quelli scomodi. Ora invece c’è un’altra corsa, quella «ad appuntarsi le cosiddette medagliette». La magistratura è cambiata, quindi ora «nelle sedi disagiate non vuole più andare nessuno». Nell’intervista a La Stampa il magistrato spiega che le indagini sono vissute ora come «un rischio», quello di bruciarsi, quindi si preferiscono collaborazioni organizzative, incarichi di supporto informatico e docenze alla scuola della magistratura. «Titoli non legati alle indagini e ai processi, ma preziosi per far carriera». Al pm antimafia non piacciono neppure le quote rosa, che ritiene «un’offesa al valore oggettivo delle donne magistrato». Lo stop alle “porte girevoli” tra magistratura e politica, invece, è una delle “luci” che intravede Di Matteo. Ma ne segnala altre due: «La più netta separazione nel Csm tra sezione disciplinare e importanti commissioni. E il ritorno al concorso aperto a tutti i laureati, per non penalizzare giovani brillanti ma senza una famiglia benestante alle spalle».



Invece giudica «demagogico e ingiusto» il divieto per chi va al Csm di concorrere a incarichi direttivi per quattro anni. «Trasuda finalità punitive dei consiglieri che hanno assolto o assolveranno il compito con coraggio, disciplina e onore. Come se entrare al Csm significhi di per sé brigare, trafficare, sporcarsi le mani». L’effetto? Disincentiverà le candidature autorevoli per non rischiare di veder pregiudicata la carriera. «Finiranno per candidarsi al Csm solo magistrati inesperti o a fine carriera». Infine, sul decreto “anti scarcerazioni”, ricorda che non ha risolto la vicenda dei bossi ai domiciliari. «Constato che molti detenuti, anche pericolosi e legati alle mafie, non sono tornati in carcere. Le conseguenze delle scarcerazioni restano irrisolte».