Ascoltato in Commissione antimafia sulla morte del giudice Paolo Borsellino, Antonio Di Pietro ha fornito una testimonianza inquietante. L’ex pm di Mani Pulite, dopo la strage di via D’Amelio, rimase in silenzio: «Non parlai più con nessuno, perché temevo che chi stavo indagando venisse a sapere su che cosa stavo indagando: la De Eccher, la Calcestruzzi di Ferruzzi e altre società erano nelle mie indagini». Di Pietro, che sarà ascoltato di nuovo il mese prossimo, ha raccontato con il suo stile che in piena Tangentopoli aveva avuto contatti con l’allora collega siciliano, che stava lavorando al “dossier mafia-appalti” preparato dal Ros dei carabinieri diretti dal generale Mario Mori e in cui venivano messi per la prima volta in connessione i grandi gruppi industriali del Nord Italia con Cosa nostra.
A illustrare a Di Pietro l’inchiesta era stato il capitano Giuseppe De Donno, che gli aveva parlato di un detenuto in carcere a Roma, arrestato in relazione ad un procedimento che riguardava le aziende De Eccher e Calcestruzzi, del gruppo Ferruzzi. «De Donno disse che a Palermo “non gli credono”, facendo così il nome di Giuseppe Li Pera», ha aggiunto Di Pietro. Inoltre, ha ricordato che l’imprenditore che avrebbe intrattenuto i rapporti con Cosa nostra aveva già raccontato ai magistrati cosa stava accadendo in quegli anni. «Nel corso di queste indagini era venuto fuori il “tavolino a tre gambe”, cioè quello tra mafia, imprenditoria e politica, dove Angelo Siino, detto il ministro dei lavori pubblici, era il collettore tra mafia e politica», ha proseguito l’ex pm, come riportato da Libero.
DOSSIER MAFIA-APPALTI CONCAUSA DELLA STRAGE DI VIA D’AMELIO
Il “dossier mafia-appalti” sarebbe stata una “concausa” della strage di via D’Amelio in cui fu ucciso Paolo Borsellino con gli uomini della scorsa. L’inchiesta rischiava di avere un effetto dirompente sul sistema economico italiano e sulla politica per il coinvolgimento di grandi imprese. Ma a Milano scoppiò Tangentopoli, mentre a Palermo non successe nulla proprio per la tragica morte di Borsellino. Di Pietro aveva già dichiarato davanti alle Corti siciliane che indagavano sulla strage che era in contatto con Falcone prima della sua morte e con Borsellino. Infatti, fu proprio quest’ultimo al funerale di Falcone a dirgli che dovevano sbrigarsi, confermano non solo l’urgenza del loro impegno, ma anche la comunanza investigativa. Qualche giorno prima di morire, Borsellino aveva interrogato Leonardo Messina, collaboratore di giustizia vicino a Totò Riina. Voleva scoprire la causa dell’attentato dell’amico e collega: nel dossier si evidenzia che la Calcestruzzi era in affari col mafioso Antonio Buscemi, i cui interessi coinvolgevano anche i colossi imprenditoriali del Nord, in linea con la strategia mafiosa di infiltrazione per massimizzare profitti e investimenti, eludendo i controlli.
«Il gotha di Cosa nostra faceva affari con la Calcestruzzi di Raul Cardini. Aver indagato quel filone avrebbe cambiato la storia di questo Paese. Era importante unire gli sforzi fra Borsellino e Di Pietro», ha spiegato De Donno, come riportato da Libero, sottolineando come tutti, a partire dai suoi colleghi, odiassero Falcone. «Una parte della tangente Enimont è stata pagata a Salvo Lima a Palermo», ha aggiunto De Donno. Il generale Mori ha poi chiosato che il dossier è morto: «Si è persa di vista la sua visione unitaria: mafia e appalti e Mani Pulite sono andate per conto loro, non si è colpito il sistema di condizionamento degli appalti che è tutt’ora oggetto di attenzione da par- te della criminalità organizzata».