La sentenza sull’omicidio di Diabolik ha stabilito che Fabrizio Piscitelli fu ucciso perché “non pagava il boss Michele Senese”. È quanto, come riportato dal Messaggero, è emerso dalle numerose intercettazioni sulla malavita di Roma. “Ma come, Diablo guadagna 200mila al mese e ti manda 2mila? Piange che non sta a fare nulla”, questa una delle tante conversazioni. È così che il numero uno della Camorra nella capitale avrebbe deciso di dare il via libera a Giuseppe Molisso e Leandro Bennato per l’uccisione del suo ormai ex pupillo per mano del killer Esteban Calderon, tuttora sotto processo.
Piscitelli era infatti diventato uno dei più potenti e questo non piaceva ai vertici, soprattutto per le questioni relative ai crediti e i doppi giochi. Gli accordi prevedevano il versamento di una percentuale sui maxi incassi del narcotraffico, ma qualcosa sarebbe andato storto. È questo che è emerso dal racconto di Alessandro Corvesi, ex calciatore in affari con Elvis Demce (esponente della mala albanese a Roma, ndr) e altri narcos.
Diabolik, l’omicidio per soldi: “Non pagava il boss Senese”. Le conseguenze
L’omicidio di Diabolik, sempre come ricostruito dal Messaggero, ha dato il via alla corsa per la leadership della malavita di Roma. La morte di Fabrizio Piscitelli è stata infatti un terremoto per gli equilibri della qualità, con l’alleanza ventennale tra i delfini del boss Michele Senese e gli albanesi che si è rotta. A prendere il controllo delle piazze furono proprio Giuseppe Molisso e Leandro Bennato e non mancano coloro che hanno cercato di farli fuori.
Tra questi, in base al racconto di Alessandro Corvesi, c’era anche il boss albanese Elvis Demce. “Perché si vuole prendere tutta Roma”, dice. Al punto da organizzare un agguato poi fallito. Lo stesso Giuseppe Molisso ne verrà a conoscenza successivamente e minaccerà vendetta. Entrambi poi si ritroveranno in carcere a Rebibbia.