In un interessante saggio apparso recentemente, il politologo e Professore di Storia economica Giulio Sapelli evoca un’Europa che, divisa nelle sue molteplici problematiche, rischia un processo di sud-americanizzazione notevole, se non saprà correre ai ripari, mettendo in gioco la democrazia in molti Paesi.
In Italia continuiamo a vedere episodi che richiamano continuamente a ciò: l’ultimo dei quali quello del capo del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo che si è presentato, guida del gruppo con più voti alle ultime elezioni, con un casco da astronauta, dopo che mesi fa abbiamo assistito alla fine della povertà” in Italia urlata dal balcone di palazzo Chigi da un Di Maio anche lui rappresentante della formazione di maggioranza al potere.
Questo processo è purtroppo figlio di una grave mancanza di vere personalità politiche nei vari Paesi (gli statisti, razza in estinzione) dovuta anche all’altrettanto importantissima diminuzione della cultura di massa, rimpiazzata dalla sottocultura dei social capitanata dalla poco raccomandabile categoria degli “influencer” e dalla quantità industriale di imbecilli che sputano sentenze spesso basate su bugie macroscopiche, ma con masse che ci credono, nel loro cammino, per certi versi inevitabile, diretto a una marginalità sociale e inevitabile povertà.
Il cammino è, lo ripeto, evitabile solamente nella costruzione di una vera società democratica basata sul bene comune e sulla centralità del lavoratore non più sottoposto ma come parte viva di un’entità economica della quale fino ad ora è solo mero dipendente. Ma anche da uno Stato guidato, lo ripeto, da veri statisti, non da “caudillos” che sempre ripetono lo stesso ritornello (per lo meno finora principalmente in Sudamerica) “Lo Stato sono io”.
Fatta questa doverosa premessa trasferiamoci proprio in America Latina dove stanno accadendo cose veramente fuori dal comune e che ci dovrebbero far riflettere, anche perché gli attuali regimi sono andati al potere utilizzando la strada delle elezioni, quindi sono stati scelti dal “popolo sovrano”.
In Bolivia un gruppo di parlamentari eletti nel Movimento per il socialismo ha proposto di dare al Presidente argentino Alberto Fernandez il Premio Nobel per la pace, per aver, udite udite, dato ospitalità all’ex Presidente boliviano Evo Morales fino alle libere e democratiche elezioni che (a scanso di chi gridava al colpo di Stato) si sono tranquillamente svolte e hanno portato alla carica di Presidente il candidato Luis Arce, appartenente allo stesso partito già di Morales.
Il bello è che l’ex mandatario boliviano ha dovuto scappare all’indomani della scoperta della frode elettorale con cui aveva vinto le elezioni pochi anni fa, cosa che ha fatto scoppiare una rivolta popolare appoggiata pure dall’Esercito. Piccolo particolare: Morales ha avuto accuse anche di “terrorismo, genocidio e delitti contro la salute”, quindi non stiamo parlando di certo di un santo, ma di un politico a cui il potere ha dato alla testa dopo diversi mandati condotti egregiamente.
Il bello è che da Stoccolma si è accettata questa candidatura, decisamente fuori dalle righe, cosa alquanto sorprendente…, ma lo stesso candidato all’ambito premio ha subito appoggiato il caudillo della provincia argentina di Formosa, Gildo Insfran (che come molti suoi simili esercita da decenni un potere assoluto coperto dal peronismo), che ha duramente represso la popolazione scesa nelle piazze per reclamare contro l’ennesima quarantena stretta ristabilita dopo che si sono registrati 75 nuovi casi di Covid. Stiamo parlando di una regione dove il tasso di povertà sfiora l’80% e la poca economia è arrivata al collasso, allargando le fasce deboli della società.
Ma non solo: lo stesso Presidente argentino ha cancellato una riforma, voluta dal suo predecessore Mauricio Macri, che permetteva allo Stato di espellere o non accogliere come residenti nel suo territorio stranieri con pendenze giudiziarie. Anche qui la cosa è stata fatta passare come un progresso nei diritti umani, quasi fosse che i malcapitati facessero parte di gruppi di solidarietà invece che di bande colpevoli di delitti vari: il messaggio in pratica è un chiaro aiuto sia a bande criminali che al narcotraffico che d’ora in poi avranno l’opportunità di svolgere le loro attività ancor più liberamente in un Paese dove ormai il vero colpevole di certa giustizia è chi subisce le violenze o chi fa parte delle forze dell’ordine e non il trasgressore, che gode di un trattamento estremamente “caritatevole” da parte del potere di turno.
Ma nel nostro viaggio nel populismo latinoamericano e nelle sue nefandezze non potevamo certo dimenticarci del Paese guida di questi regimi, tanto adorato pure da certi movimenti italiani come campione di democrazia: il Venezuela. C’è pero da reggersi forte, perché qui la notizia è grave: dopo aver totalmente distrutto l’Assemblea Costituente con le elezioni meno partecipate della storia del Paese, il Presidente (sic!) Nicolas Maduro ha proposto la riforma chiamata “di responsabilità sociale di radio, televisione, reti e mezzi di comunicazione elettronici”, dove in pratica si sentenzia una censura totale da parte del potere.
Questo con altre 33 “riforme” miranti sopratutto a eliminare la partecipazione dei cittadini basata sui Governi e l’elezione di Sindaci nelle varie località. Ormai nel Paese caraibico si è abolito di tutto e il potere è talmente dittatoriale da far sì che una delle prime azioni del Presidente statunitense Joe Biden sia stata quella di estendere l’embargo verso il Venezuela voluto dal suo ex predecessore e arcinemico Donald Trump.
Ormai il Paese si trova isolato e pure condannato come Regime anche dall’Onu, ma riceve l’aiuto di due interessati alleati quali Cina e Russia, non proprio governati da libere democrazie, come sappiamo. Ma, come abbiamo visto, l’estensione di queste tirannie anche ad altri Paesi e l’apparizione di schegge di potenziali sostenitori pure in una Europa dilaniata non solo dal Covid-19, rischiano di provocare se non la morte l’involuzione del concetto di democrazia verso lidi già aspramente combattuti nel secolo scorso.