Che il Covid-19 abbia bloccato il sistema economico mondiale per almeno tre mesi costituisce un fenomeno che spesso è stato paragonato a una guerra. Diciamo batteriologica, visto che ormai sono in molti a pensare che il virus sia “sfuggito” alla Cina e che la stessa nazione asiatica abbia ritardato in forma letale per il resto del mondo l’informazione sulla pericolosità dello stesso, in pratica generando una pandemia. Da questo punto di vista sono in molti (non solo Salvini) a pretendere la riparazione del danno, anche se recentemente si è ventilato che, attraverso l’Onu e dopo una profonda analisi del caso, si possa procedere all’annullamento dei vari titoli dei Paesi denuncianti in possesso della Cina, che quindi in pratica si troverebbe con una quantità notevole di carta straccia nelle sue banche.
Purtroppo per noi, però, la storia non è ancora giunta alla sua conclusione: se in Asia e in Europa il Covid-19 sembra arrivato alla sua traiettoria finale, in America Latina la situazione è diversa e, per molti esperti, il continente latinoamericano sarà il nuovo focolaio centrale della pandemia, anche se finora, con l’esclusione del Brasile, i numeri che si stanno registrando non sono sicuramente a livello né europeo, né asiatico, ma l’imminente arrivo della stagione invernale dovrebbe registrare aumenti consistenti nei contagi. C’è da dire, tuttavia, che la tesi del freddo come potente alleato virale lascia, come tanti altri aspetti di questa triste vicenda, un po’ il tempo che trova, in quanto l’esplosione di contagi in Brasile è avvenuta con temperature estive anche rilevanti in alcune zone del Paese.
Una delle negatività del fenomeno risiede nelle conseguenze non solo economiche: si è discusso tantissimo quanto il Covid-19 abbia, attraverso la quarantena, obbligato intere popolazioni a limitare i propri diritti e libertà e abbia fatto sorgere il sospetto che certe misure nascondano in un certo senso anche un uso del potere che, in alcune nazioni, ha nella pratica significato l’esclusione delle Camere dalle decisioni finali e le stesse siano state occupate da decreti di emergenza che, ancora una volta, ricordano uno Stato di guerra. In questo (e i lettori del Sussidiario già ne sono stati informati) l’Argentina ha battuto ogni record non solo per quanto riguarda la durata di una quarantena che ormai pare essere eterna, ma anche per le misure che restringono le libertà umane al punto tale che si stanno verificando fenomeni gravi a livello sociale: le vendite di farmaci antidepressivi sono triplicate in breve tempo, così come la disgregazione di interi nuclei famigliari a causa di processi di divorzio che si stanno registrando e che, una volta ristabilita la normalità, daranno molto lavoro ai tribunali.
Insomma, una società che sta letteralmente scoppiando e non solo per le conseguenze economiche dovute alla chiusura in pratica di gran parte delle attività: il tutto avviene in un’Argentina dove esistono e hanno un peso assolutamente enorme organizzazioni che si definiscono “per la difesa dei diritti umani”. Il bello è che da mesi questi gruppi non danno in pratica alcun segnale vitale, e bisogna considerare come aggravante pure il fatto che il totale degli infettati non raggiunge le 20.000 unità, cifra alla quale bisogna sottrarre ovviamente 6.000 perone guarite e circa 500 morti. Il Governo in pratica pospone ogni 15 giorni la fine della quarantena ormai da oltre 3 mesi perché considera imminente il raggiungimento di alte cifre di contagio: ma allora non si capisce bene quale sia il piano per affrontare il fenomeno, visto che le decisioni vengono prese da un comitato di infettivologi che, a dir la verità, sembra brancolino nel buio da mesi e decisamente non hanno in mano il termometro della situazione.
In altre nazioni del mondo enormemente più colpite si è proceduto a livello decisionale non solo seguendo l’andamento del virus, ma avendo nei comitati decisionali la Costituzione in mano, oltre che essere composti da psicologi, neurologi, economisti… insomma, affrontando la situazione non solo dal punto di vista sanitario, in modo da evitare danni collaterali notevoli. In Argentina no. Eppure, sebbene gran parte della società consideri limitate le proprie libertà individuali da troppo tempo, le associazioni per i diritti umani non hanno nemmeno espresso un parere sull’attuale situazione.
Nate verso la fine degli anni Settanta per la triste problematica dei “desaparecidos” della dittatura militare e divenute famose in tutto il mondo per le loro sacrosante lotte, se in un primo momento (giustamente) si sono mantenute al di fuori della politica, con l’avvento del kirchnerismo sono state di fatto cooptate dal potere e trasformate in alleati partitici al punto di coinvolgerle anche in scandali di potere trasformandosi nella lunga manus dello stesso, fatto conosciutissimo in Argentina ma ancora poco all’estero, al punto che in Paesi come l’Italia si continua a considerarle nella loro ormai trascorsa importanza umanitaria.
Estremamente attive dal 2015 al 2019 (anni in cui la Presidenza del Paese era gestita da Mauricio Macri) non solo con manifestazioni contro provvedimenti estremamente favorevoli alle classi più deboli (come ad esempio l’applicazione della scala mobile sulle pensioni, in modo di agganciarle all’inflazione per mantenerne il valore) nelle quali si sono alleate alle potenti organizzazioni dei centri sociali, ma anche complici della distorsione storica degli anni Settanta tanto cara al kirchnerismo, con l’esaltazione del terrorismo che portò il Paese in una guerra civile interna al peronismo.
Ora è chiaro che con il ritorno del kirchnerismo al potere si siano messe il silenziatore, nonostante la tragica situazione economica e le decisioni governative che hanno colpito sopratutto i pensionati e le classi più deboli. In una situazione di pandemia dove il rischio più grande riguarda non solo le imprese e la classe media a causa delle misure di quarantena, ma pure le classi meno abbienti e non solo per la scarsissima protezione sanitaria, ma anche per la sostanziale sparizione di situazioni economiche che le sostentavano.
Davvero una notevole partecipazione alla tanto declamata ricostruzione dell’Argentina che mediaticamente il Presidente Alberto Fernandez cita nei suoi discorsi, ma che viene smentita nei fatti non solo economici ma anche sanitari di questi tempi. Alla faccia dei tanto conclamati “diritti umani”.