Con una decisione a sorpresa l’ex ministro kirchnerista Julio de Vido, in carcere preventivo in attesa della conferma in cassazione della condanna a 5 anni e 8 mesi per la tragedia della stazione Once (dove un treno di pendolari si scontrò contro la barriera a causa del mancato funzionamento dei freni, provocando la morte di 51 persone e il ferimento di 700) stabilita in uno degli 11 processi incorso contro di lui, è stato messo in libertà. La decisione ha creato uno scandalo nella giustizia argentina perché segna l’inversione di tendenza sulle cause di corruzione dei governi kirchneristi e in pratica produce una svolta che potrebbe portare, come ampiamente previsto, alla cancellazione del processo della Mani pulite argentina. Nella quale, a parte vari ministri e funzionari, sono coinvolti anche l’ex Presidente Cristina Fernandez e la sua famiglia per un totale (nel suo caso) di altri 11 processi per reati connessi sia alla corruzione che al tradimento della Patria.
De Vido è stato il ministro economicamente più potente del kirchnerismo: nelle sue mani di ministro della Pianificazione, investimenti pubblici e servizi sono transitati i capitali che in teoria dovevano servire ad ammodernare economicamente e a livello di infrastrutture l’Argentina, oltre che fornirla dell’energia necessaria al proprio sviluppo. Invece, dopo essere stato al servizio di Nestor Kirchner, durante la presidenza di Cristina si sono iniziati dei processi contro di lui non solo per corruzione, ma anche per responsabilità indirette nella strage ferroviaria sopra citata.
In tutti questi anni trascorsi in processi vari in cui in uno è sopraggiunta una condanna, de Vido dalla cella ha sempre reclamato la propria fedeltà al kirchnerismo, pretendendo la propria libertà e considerandosi un prigioniero politico: inascoltato ha iniziato a esprimersi in termini non proprio gentili verso la sua ex mandataria e la cosa ha iniziato a mettere paura all’intero sistema politico kirchnerista, tanto più perché al Governo c’era Macri. Il timore era che de Vido, una volta snobbato completamente, avrebbe potuto trasformarsi in un pentito e vuotare il sacco sui sistemi di aggiudicazione delle opere pubbliche in Patagonia (vinte sempre da un’impresa gestita da un testaferro dei Kirchner, Lazaro Baez) e su altri scandali, come quello dell’importazione di gas dalla Bolivia in navi mercantili, cosa strana, viste le enormi riserve argentine di questa materia prima. La vittoria di Alberto Fernandez alle presidenziali ha riacceso in lui delle speranze che sono poi aumentate con la curiosa storia del lawfare, uno strano concetto che si oppone alle carcerazioni preventive considerandole uno strumento di repressione politica da parte di chi ha il potere.
La cosa strana è che il Presidente attuale, Alberto Fernandez, aveva promesso una giustizia lontana dal potere e indipendente: come su tutte le sue promesse ecco arrivare la smentita proprio su questo caso. Anche il segretario di de Vido, Roberto Baratta, è tornato libero per le stesse ragioni del suo principale: sul loro conto c’è tutta una bibliografia di prove contundenti tali da riempire migliaia di fascicoli. Ma ora, con i responsabili dei fatti ormai liberi e una giustizia che si avvia verso un ricambio totale a causa del pensionamento di 125 giudici e la loro sostituzione con altrettanti fedeli al potere, Cristina Kirchner e tutto il suo ex Governo potranno dormire sonni tranquilli e avranno ottenuto quell’impunità che permetterà loro di tornare a manovrare il potere di forma ancora più netta. Con buona pace di un Presidente ormai marionetta (ma questo si era capito fin dagli inizi) di un potere che vuole tornare a imporre il proprio populismo a base di favole che per 15 anni, nonostante l’enorme flusso di capitali derivati dai prezzi stellari della soia (le famose commodities) ha ridotto l’Argentina sul lastrico e che ora dovrà gestire l’imminente default monetario, ormai ritenuto per sicuro vista anche la situazione mondiale dovuta al coronavirus.
Nel frattempo l’aumento delle tasse sui prodotti agricoli ha provocato la dichiarazione di guerra di tutto il settore, la cui produzione è l’asse portante di gran parte dell’economia locale. Tempi difficili, ma la corruzione è salva!