E così con le votazioni al Congreso de La Nacion di giovedì e venerdì scorso e l’approvazione del pacchetto di decreti di emergenza in Argentina due cose sono emerse chiarissime: la prima è che per un lasso di tempo di 180 giorni (tanto è prevista la durata del decreto) il Presidente potrà in pratica esercitare il suo potere senza “l’ingerenza” delle Camere, quindi nella pratica una Repubblica (da tempo sempre di più metafisica) cede il passo a un regime autarchico. Altro punto è che il decreto di emergenza contiene l’esatto contrario delle misure che si dovrebbero attuare per far uscire l’Argentina dalla crisi, colpendo in misura repressiva non solo i pensionati, ma anche e soprattutto la classe media, parte della quale si sarà già pentita di aver votato il ritorno del peronismo al potere. Che ha installato i propri tentacoli pure in due settori chiave del Paese, quali la giustizia e l’Afi, i servizi segreti.



La fiammante Ministra Marcela Losardo ha difatti proposto il giudice Daniel Rafecas, responsabile di scandali giudiziari nella precedente era kirchnerista, come Procuratore generale della nazione, mentre sia il ministero della Sicurezza che i servizi segreti sono stati messi nelle mani dell’antropologa Sabrina Federic e l’attuale responsabile del movimento Justicia Legittima Cristina Caamaño. Personaggi estremamente legati al kirchnerismo che di fatto ha nelle proprie mani settori nevralgici dello Stato. E difatti si è assistito alla liberazione di personaggi accusati di corruzione nella Mani Pulite argentina che stavano scontando la prigione preventiva o altri, condannati, hanno avuto la pena trasformata nei domiciliari. Attualmente solo 4 implicati nel gigantesco giro di corruzione del sistema che ha governato il Paese fino al 2015 rimangono in carcere. Ma si pensa che a breve recupereranno la libertà.



Torniamo alla votazione delle leggi di emergenza: uno dei cavalli di battaglia di Alberto Fernandez per vincere le elezioni alla Presidenza è stato quello di aver promesso rimettere l’Argentina in piedi attraverso politiche che avrebbero recuperato una giustizia sociale, visto che il macrismo aveva colpito sopratutto la classe media e poi il sistema produttivo agricolo (base dell’economia del Paese) con misure soprattutto di tassazione notevoli. Ecco che il piano di Fernandez, sviluppato dal nuovo ministro dell’Economia Martin Guzmàn alla fine chi colpisce? Soprattutto pensionati, classe media e settore agricolo, con misure che chiamano alla solidarietà, pero circoscritta sempre ai soliti noti.



Niente di nuovo quindi sotto il sole: le pensioni saranno sganciate dal sistema della scala mobile che serviva soprattutto a proteggerle dai rischi di svalutazione legate all’inflazione e gli aumenti saranno dettati da decreti, quindi non più legati alla realtà economica del Paese. Ma ciò non toccherà minimamente sia le pensioni minime (che verranno aumentate) che coloro che godono di piani sociali. In pratica pagheranno il conto coloro che, nella loro vita lavorativa, hanno sempre pagato i contributi: la cosa strana di questa “riforma sociale di solidarietà” è che nel provvedimento non entreranno nemmeno le pensioni di privilegio del mondo politico e legislativo e quelle della giustizia, che continueranno a essere collegate al vecchio sistema. Davvero comica dimostrazione di socialismo reale, non c’è che dire, alla quale si aggiunge un’altra perla: il cambio del dollaro sarà d’ora in poi regolato da 8 tipi di cambi differenti.

Proviamo a metterci nei panni di un lavoratore che con il suo stipendio fatica ad arrivare a fine mese: finora l’unico modo per combattere la perdita di valore del suo salario dovuta all’inflazione era costituita da un classico della vita argentina, quanto e forse, disgraziatamente, più del tango. Cambiare lo stipendio in dollari e poi gestirlo a poco a poco in modo da poter sopravvivere. Invece da ora se il nostro lavoratore attuerà questa tattica acquisterà un dollaro a un valore di 87 pesos e, quando lo rivenderà, gli verrà calcolato a 54. Bellissimo, non c’è che dire, come esempio di sviluppo economico di una società. Ma non basta: sempre secondo la moltiplicazione dei cambi, se un imprenditore vorrà importare dei componenti necessari alla propria attività o dei prodotti, attraverso un sistema di cambi battezzato eufemisticamente “Dolar Turistico” gli verrà applicata una tassa del 30%. Altrettanto dicasi per i produttori agricoli che vedranno la loro tassazione incrementata della stessa cifra, cosa che nella pratica si tradurrà nel fallimento dei tre quarti dei produttori che nella realtà raggiungeranno solo perdite visto che stiamo parlando di piccole e medie entità.

Insomma, tutto quello che duramente veniva criticato al Governo precedente, l’attuale lo sta applicando con peggioramenti notevoli e anche con l’instaurazione di un potere ideologico ben lontano dalla democrazia, nel quale, oltretutto, un sistema sindacale mafioso inizia a operare con sistemi ben poco democratici. La settimana scorsa, in occasione dell’arrivo del nuovo ministro della Cultura, i lavoratori appartenenti al sindacato Ate hanno distrutto gli strumenti di controllo delle presenze, mentre quelli del sindacato dei camionisti hanno demolito chilometri di una linea ferroviaria costruita per il traffico merci 4 anni fa. E ai lavoratori della compagnia aerea Aerolineas Argentinas, che negli ultimi 4 anni ha ridotto notevolmente le perdite sviluppando flotta e voli come non mai, si sono visti recapitare moduli di denuncia anonima per segnalare dipendenti favorevoli alla vecchia amministrazione, rimpiazzata totalmente da quella precedente, nelle mani del gruppo ultrakirchnerista “La Campora”, che aveva rischiato di portare la società al fallimento nel 2015.

Ora la parola passa alla gente comune che nei due giorni di discussione dell’emergenza economica ha in pratica occupato la piazza del Congreso autoconvocandosi attraverso i social, segnale non percepito da chi dentro l’edificio ha tradito non solo il suo voto ma pure il suo futuro: la speranza è che, visto anche il malcontento sociale vieppiù aumentato pure da chi aveva creduto all’ennesima favoletta del peronismo, l’Argentina finalmente si svegli dal suo pianto e inizi, come il Cile (dove 1.200.000 persone si sono radunate un mese fa sconfiggendo di fatto il Presidente Piñera e costringendolo ad applicare nuove misure economiche, tra le quali il taglio del 30% degli stipendi ai parlamentari e alle spese delle Camere, e a indire un referendum per una nuova Costituzione che cambi quella ispirata da Pinochet) a pretendere una partecipazione più diretta alla vita del Paese.