In Argentina in questi ultimi giorni ben due giudici hanno bloccato il percorso dei Dnu (Decreti di necessità e urgenza) che sono riuniti in un pacchetto chiamato “omnibus” e che sono fondamentali per poter far partire le riforme che, come promesso dal programma elettorale del nuovo Governo, sono una scelta obbligata per operare il cambio epocale che il Paese necessita nella crisi che sta attraversando da ormai più di 30 anni e che ora ha raggiunto dei limiti tali da immergerlo nel baratro.
Va da sé che per la loro applicazione i decreti hanno bisogno del voto di entrambe le Camere, però il blocco deciso a pochi giorni di distanza da due giudici legati strettamente al forte sindacato peronista Cgt (Confederacion General del Trabajo) sono un ostacolo sul percorso del cambiamento.
Nei 40 anni di storia dell’attuale Democrazia Argentina è la prima volta che ciò accade, visto che ogni Presidente eletto ha emesso decreti che poi sono stati approvati alle Camere senza nessun ostacolo, ma a questo improvviso stop si aggiunge uno sciopero generale proclamato in fretta e furia sempre dalla CGT per il 24 Gennaio e ciò crea una destabilizzazione del Paese proprio nel momento tra i più delicati della sua Storia, perché interrompere le riforme significa, in pratica, tirare la nazione nel baratro del fallimento.
Parlavamo di 40 anni di storia democratica, ma ciò appare un puro eufemismo visto che i sindacati peronisti hanno sempre messo il Paese a ferro e fuoco ogni volta che il Governo non era nelle mani del loro partito e di fatto hanno provocato poi le dimissioni di Alfonsin e De La Rua, due Presidenti appartenenti al Partito Radicale che democraticamente (come Milei d’altronde) avevano vinto le elezioni: e questo la dice lunga sul concetto di democrazia nel peronismo che, ricordiamolo, è il figlio più perfetto del fascismo Iialiano apparso al mondo.
Difatti in entrambi i casi le pressioni e la raffica di scioperi provocarono elezioni anticipate nelle quali, ovviamente, vinsero Carlos Saul Menem e Nestor Kirchner, due candidati peronisti: il primo fu l’artefice della bomba che, attraverso un cambio paritario con il dollaro totalmente fittizio, esplose poi nelle mani del Governo successivo, mentre il secondo è non solo l’artefice del più gigantesco sistema di corruzione che l’Argentina abbia avuto (valutato in circa 30 miliardi di dollari), ma anche, con la complicità della moglie Cristina che gli succedette alla Casa Rosada per due mandati, la persona che, nonostante condizioni estremamente favorevoli a livello economico prospettate dal mercato della soia (che da 125 era passata a 500 dollari la tonnellata) ha prodotto alla fine una crisi che poi si è protratta fino a oggi.
E ora eccoci a rivivere una situazione che gli argentini già conoscono e che con il voto del 19 novembre scorso hanno sentenziato di volersi disfare una volta per tutte dal passato, sancendo la vittoria dell’economista Milei e del programma “lacrime e sangue” elaborato da lui e dal PRO dell’ex Presidente Mauricio Macri.
Ma chiaramente era prevedibile che la schiacciante vittoria e il successivo programma, immediatamente messo all’opera dal nuovo Presidente, avrebbero provocato la reazione della corporazione sindacale che non ne vuole sapere di togliere le mani dalle casse dello Stato per finanziare i segretari, spesso con mandati che superano i 30 anni, che conducono vite nel lusso più sfrenato a costo di una classe lavoratrice le cui condizioni stanno peggiorando a tutta velocità da quattro anni e che vedono i loro salari penultimi tra quelli elargiti mensilmente nell’intero continente latinoamericano.
E che della condizioni dei lavoratori alla Cgt non importi nulla è dimostrato dal fatto che negli ultimi 4 anni (sotto il Governo perokirchnerista di Alberto Fernandez) la situazione abbia raggiunto limiti impensabili sia a livello di inflazione che di povertà, senza minimamente provocare protesta alcuna.
Ora l’Argentina versa in un momento di pericolo estremo e il ricordo dei disordini “programmati” che hanno contraddistinto il fatidico dicembre 2001 è quanto mai attuale anche perché si registra la presenza di organizzazioni sociali che gestiscono una quantità industriale di persone disposte non solo a provocare manifestazioni ma anche violenze, visto che sono pagati con sussidi statali (che lo Stato vorrebbe ridurre e in molti casi eliminare) e spesso ricevono anche “mance” in ogni evento.
Di certo sarebbe stato utile improntare un programma di riforme più graduali, ma, come nel caso del Governo Macri dal 2015 al 2019, anche questa tattica non ha funzionato e oltretutto le condizioni sono ormai talmente estreme da trasformare tutto in una corsa contro il tempo.
Il programma di Milei per portare il Paese fuori dalla crisi nei quattro anni (se li potrà godere) di presidenza prevede che il 2024 sarà contraddistinto da una deregolamentazione dell’intera struttura statale, equilibrio fiscale e salvataggio della banca centrale anche con la rimozione del tasso di cambio: ciò provocherà alti livelli di inflazione, che però si abbasserà fortemente a cominciare dal mese di aprile. Altra conseguenza sarà un’ulteriore caduta dei livelli salariali oltre a una forte apertura commerciale e conseguente crescita di alcuni settori a partire dal secondo semestre. Nel 2025 invece si prevede la riattivazione generalizzata dell’economia, l’abbassamento dell’inflazione a sole due cifre annuali e l’inizio del recupero sia dell’impiego che dei salari.
Se il programma appena illustrato dovesse confermarsi è chiaro che Milei avrebbe un decisivo vantaggio nelle elezioni di medio termine semplicemente perché ormai il peggio sarebbe definitivamente passato: quindi godrebbe di una maggioranza politica che gli permetterebbe di continuare più fortemente nell’attuazione del programma.
Ora, però, è chiaro che un cammino del genere necessita di un accompagnamento politico, soprattutto nei suoi punti iniziali, ma è altrettanto chiaro che il peronismo non può permettersi di farlo attuare, perché ciò significherebbe la sua fine. Ecco quindi spiegata la ragione delle manifestazioni programmate e degli ostacoli messi sul cammino delle riforme: però ci sono fortunatamente alcuni segnali decisamente controcorrente. In primis. la Federazione argentina degli impiegati di commercio, il sindacato che raggruppa l’intero settore gastronomico e l’Uocra (il potente sindacato della costruzione) sono pronti a dialogare con il nuovo Governo e allo stesso tempo nelle organizzazioni sindacali aderenti alla Cgt si assiste alle dimissioni di migliaia di lavoratori dal sindacato.
Quindi il piano per destabilizzare il potere e che prevede, dopo un’ondata di scioperi generali pure una quantità grandissima di manifestazioni che avrebbero come epicentro la povertà generalizzata (che per quattro anni, lo ripetiamo, sono state silenziate dai sindacati stessi) potrebbe avere degli intoppi notevoli nella sua realizzazione.
Il futuro di Milei e dell’attuale Governo dipende sostanzialmente da come la società, che in gran parte lo ha votato, reagirà quando si troverà ad affrontare alcuni mesi di difficoltà, peraltro già annunciati: ma è chiaro che il successo del programma e i cambiamenti epocali che provocherà, come abbiamo anticipato da tempo, potrebbero rappresentare una rivoluzione estendibile anche ad altri Continenti e costituirebbe un colpo di grazia nei confronti di una casta politico-sindacale che in molti Paesi, compreso il nostro, rappresenta un vero e propri Stato nello Stato non più accettabile nei Governi di Paesi democratici.
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