Nel corso delle nostre analisi sulla situazione argentina ci siamo soffermati sul dato, per noi inquietante, del risultato delle elezioni primarie: quel 14% di vantaggio del Frente de todos (il nuovo nome del kirchnerismo) su Macri è veramente impressionante. Anche se da più parti, e a seguito di prove, si è lanciata l’immagine di un ballottaggio con molte irregolarità (dovute soprattutto alla mancanza di delegati di Junto para el Cambio – partito macrista – a controllare i seggi elettorali), è innegabile il dato di una classe media che in quella votazione da spina dorsale macrista si è trasformata in alleato di un ritorno a un passato che proprio nel 2015 (votando per l’attuale Presidente) rifiutò.
Abbiamo quindi analizzato i vari errori che Macri ha realizzato nel corso di questi anni, innegabili, come però lo è altrettanto sia la situazione che si è trovato a ereditare che la responsabilità di una crisi che non è databile dal 2015, bensì da circa 70 anni.
La domanda che viene da porsi, dopo aver analizzato le colpe dell’italo-argentino è la seguente: ma Macri non ne ha proprio azzeccata mezza in tutti questi anni? È proprio colpevole di tutto, come sostengono da un’opposizione kirchnerista che, quando era al potere, ha provocato solo disastri e che ora (come sempre) si trasforma nella Fata Turchina con la bacchetta magica?
Iniziamo la nostra analisi dalla cifra del debito dello Stato, che ammonta attualmente a 330 miliardi di dollari: di questi 240 Macri li ha ereditati dal precedente Governo, ma della differenza di 90 miliardi il 60% di questi ulteriori debiti sono quelli con gli Holdouts (Tango Bond e C.) per 9 miliardi e con il Club de Paris, un gruppo internazionale di banche, con 7 miliardi. Alla fine il debito generato in questi anni, sulle spalle di Macri, ammonta a 35 miliardi, ossia un dollaro ogni 10 del totale.
In questi tre anni il suo Governo ha anche fatto cose positive e importanti per l’Argentina: in primo luogo, ha tentato di instaurare una Repubblica con uno Stato di diritto, ma la cosa si potrà verificare tra 5 o 6 anni; ha reso credibile l’Indec (l’Istat argentino) che prima forniva dati falsi sull’economia; ha recuperato completamente l’autosufficienza nella fornitura di gas (che prima si importava dalla Bolivia), parte delle linee ferroviarie e messo in marcia il trasporto di merci su rotaia; ha diminuito l’indice di sequestri e omicidi e fatto sì che pure il potere giuridico paghi le tasse; ha messo in marcia l’energia alternativa (oggi l’Argentina è il principale Paese nel loro utilizzo nel Continente latinoamericano), costruito o asfaltato migliaia di chilometri di strade, reti di mezzi pubblici efficienti, reso possibile l’utilizzo di cloache, acqua potabile, luce e gas a 4 milioni di argentini (specialmente nelle province più povere) che mai le avevano avute; ha recuperato il mercato della soia con la Cina e raggiunto il record di esportazioni di carne argentina a livello globale; ha aperto le porte dell’Argentina al mondo e organizzato il G20 lo scorso anno. Sul fronte della sicurezza ha combattuto efficacemente il narcotraffico, che prima contava con migliaia di km di frontiere aperte, espulso dalle loro funzioni circa 3.000 poliziotti e guardie carcerarie per delitti variM ha espulso 1.200 delinquenti stranieri dal Paese e catturato 5.000 ricercati dalla giustizia. Ha aperto il più grande processo contro la corruzione dell’America Latina.
Risultati, come si vede, niente affatto trascurabili, specie se ottenuti in soli tre anni e mezzo di gestione: e difatti la politica del gradualismo adottata all’inizio fino al maggio dello scorso anno aveva dato risultati positivi, con la povertà passata dal 34% al 26%. Ma le ripercussioni delle crisi internazionali del maggio e agosto 2018, amplificate in Argentina da speculazioni finanziarie sul dollaro che hanno fatto crescere l’inflazione, hanno portato alla crisi attuale, nella quale si è rivelato come il Paese, più che la logica imprenditoriale che ha portato ai risultati qui descritti, avrebbe avuto urgentemente bisogno di una rivoluzione politica su cui basarla, avendo il coraggio di eliminare gradualmente e cambiare un sistema obsoleto e fuori dal tempo.
Invece Macri ha pensato che mantenendo, per esempio, lo Stato Babbo Natale della società le cose sarebbero andate avanti. Ma alla fine questa concezione gli è esplosa tra le mani. Le riforme politiche avrebbero accelerato senza alcun dubbio quel concetto di Repubblica con Stato di diritto che era nel suo progetto, rifondando un Paese più giusto e rispettoso delle regole, cosa che gli avrebbe evitato il disastro attuale di un sistema che si basa sulla convenienza politica di un populismo che si è combattuto più a parole che con i fatti.
La lezione dell’11 agosto ci si augura sia servita se non altro per riparare certi errori, cosa che il Governo ha cercato di fare a gran velocità e difatti domenica scorsa, nella Provincia di Mendoza, il partito macrista ha vinto le elezioni con un distacco di 14 punti sul kirchnerismo. La speranza è che il 27 ottobre, giorno delle elezioni presidenziali a livello nazionale, la Repubblica possa trionfare su di un’autarchia che riporterebbe l’Argentina verso gli anni ’70. Difatti già settori del kirchnerismo rivendicano di commemorare e mettere in atto i principi della lotta armata di gruppi terroristici come Montoneros ed Erp, che portarono il Paese sull’orlo della guerra civile proprio in quella decade e videro, come risultato, la genocida dittatura militare.