Oggi l’Argentina vivrà una giornata molto importante: si svolgeranno difatti le elezioni primarie non solo per scegliere i candidati alla presidenza, ma anche per quelli a Governatore delle Province.

Ma al di là di quella che può essere una semplice tornata elettorale, il motivo per il quale l’11 agosto sarà una giornata importante risiede nel fatto che si avranno i primi segnali che riveleranno se l’Argentina vorrà continuare a essere una Repubblica, seppure imperfetta, o trasformarsi in un’autarchia mirante a una dittatura populista. Perché ormai questo concetto, che con la democrazia ha ben poco a che fare, divide una nazione in due. Certo, alle elezioni partecipano anche altri candidati, ma il voto si polarizzerà su Macri o Alberto Fernandez, “rappresentante” di Cristina Kirchner.



E, come i lettori del Sussidiario già sanno, sono sopratutto due sistemi che si scontrano: da una parte la ancor debole Repubblica attuale, nella quale, dopo una serie di errori madornali, tra i quali quello di aver resuscitato un kirchnerismo che sembrava morto, la situazione sembra lentamente avviarsi a una normalità da anni sconosciuta. Dall’altra il peronismo con il kirchnerismo “pifferaio magico” che, ancora una volta, promette la felicità terrena subito, scherzo che in 70 anni, ripetutosi, è già costato all’Argentina crisi economiche micidiali, sempre però gestite da altri ai quali il peronismo lasciava un Paese sfasciato.



Ma questa volta, ad aggravare la situazione, c’è pure il pericolo della fine della democrazia e l’instaurazione di un regime autocrata, porta aperta a un fascismo che da sempre esiste nel DNA dei seguaci di Juan Domingo Peron, non per nulla fanatico di Mussolini.

Nei sondaggi, se inizialmente Cristina Kirchner aveva la maggioranza, dopo la sua rinuncia alla corsa alla Casa Rosada per postularsi vicepresidente (in modo da evitare gli 11 processi e le 5 richieste di carcerazione preventiva che la vedono accusata di essere a capo di un’organizzazione dedita alla più grande corruzione mai vista in Argentina, visto che il Presidente non gode di immunità ma il suo vice si in quanto a capo del Senato) si registra un sostanziale pareggio.



Ma molti argentini sono affascinati, per l’ennesima volta, dal vivere una vita da cicale eterne abboccando all’amo di promesse peroniste che non si sono mai mantenute. E in cambio della vita facile promessa da uno Stato trasformato in Babbo Natale (ora che Macri ne ha risollevato le casse lasciate vuote dai Governi kirchneristi tra il 2003 e il 2015), c’è un altro “piccolo” particolare nel “pacco dono”: la fine della democrazia.

Come preannunciato, il ministero della Giustizia sparirebbe, sostituito da una “Giustizia Popolare” comandata da giudici militanti (ma se sono militanti che razza di giudici sono?). Che ovviamente scarcererebbero tutti i responsabili delle “Mani Pulite” argentina, assolverebbero gli accusati e processerebbero i giudici attuali. La libertà di stampa verrebbe soppressa (nelle mani del giornalismo militante, altra assurdità partorita dal kirchnerismo) e tutti coloro che hanno documentato gli scandali di corruzione del kirchnerismo verrebbero processati.

Lo scandalo creato pochi mesi fa dal kirchnerismo e gestito da un magistrato militante (Ramos Padilla) nel quale è coinvolto il famoso giornalista d’indagine Daniel Santoro è un esempio del modus operandi che potrebbe installarsi al punto tale che ha allarmato il giornalismo professionale argentino. Insomma, il “democraticissimo” ministero della Vendetta (lo hanno proprio chiamato così, vedrebbe la luce.

Certo è che, a parte la sfortuna di subire le conseguenze di due tempeste finanziarie internazionali, che in Argentina si sono amplificate aumentando l’inflazione per effetto del cambio del dollaro, il Governo Macri ha commesso diversi errori in questi 4 anni di conduzione, sopratutto per non aver spiegato in maniera esaustiva la catastrofica eredità di 13 anni di kirchnerismo che in pratica, come nella tradizione peronista, gli hanno lasciato le casse dello Stato vuote. Ciò lo ha costretto ad assumere decisioni “lacrime e sangue”, spesso senza il gradualismo promesso, per risolvere la situazione ed evitare di cadere nella replica del 2001, dove un Governo a conduzione radicale (quello del recentemente scomparso De La Rua) ha pagato i piatti rotti della ultra decennale “fiesta” del suo collega peronista Carlos Menem.

I soldi accumulati attraverso la contrazione di debiti internazionali (specie con il Fmi) sono serviti per iniziare a costruire le infrastrutture necessarie e ancora mancanti (strade e ferrovie) e anche per connettere alla rete elettrica e fognaria zone del Paese che durante il kirchnerismo non erano state fatte. Difatti gli indici attuali del Paese sono fuori da ogni rischio, soprattutto dopo che l’effetto dovuto a una miglioria economica e quello registrato per l’inizio dello sfruttamento della “Patagonia Saudita” (giacimenti di petrolio, gas, rete eolica, oltre al litio nel Nord del Paese) hanno iniziato a farsi sentire.

Le casse dello Stato sono ormai oltre il livello di sicurezza e anche la situazione del sistema finanziario argentino esclude qualsiasi crisi: insomma, il Paese sta gradualmente recuperando, ma la tentazione della “bacchetta magica” peronista fatica a dissolversi. Pure se il “Frente para todos” (il nuovo gruppo politico del kirchnerismo) ha come candidato un personaggio molto discusso per le sue giravolte politiche (fino a poco tempo fa era nemico acerrimo della Kirchner, lanciandogli ogni tipo di accuse anche duramente) e il peronismo ha abituato l’Argentina a questi cambiamenti, anche i gatti capiscono che il Fernandez (Alberto) altro non è che il “prestanome” di Cristina Fernandez de Kirchner.

Questa volta però, rispetto alle altre, gli argentini rischiano di finire sotto un potere che ricorda molto da vicino la visione del Paese che aveva il gruppo terrorista peronista “Montoneros” nei tristi anni Settanta, riportando gli orologi della nazione indietro nel tempo.