L’Argentina si prepara all’elezione presidenziale nel mezzo della peggior crisi della sua storia, con livelli di inflazione mai visti (124%), casse dello Stato ormai vuote (e indovinate un po’ cosa fa il Governo peronista-kirchnerista? Chiede aiuto al tanto odiato Fmi) e la povertà arrivata al 45% con punte del 68% di indigenza infantile. Il cambio con il dollaro ha superato gli 800 pesos e per la data delle elezioni, che si svolgeranno il 22 ottobre, si pensa arriverà a 1.000.



La situazione del Paese è però importantissima a livello continentale perché (come probabile) se si dovesse imporre un’opposizione che ha ormai, attraverso una serie di vittorie elettorali, conquistato il controllo delle Province dell’intero Paese, ci sarebbe una nazione diretta verso un cambiamento epocale.



Le ragioni sono in gran parte collegate alla disastrosa crisi, ma anche al fatto che il peronismo che l’ha creata e che ha sempre avuto il tempismo di cedere il potere quando i suoi limiti diventavano disastrosi (ricordiamo il 2001 sotto gli effetti delle politiche dell’ex Presidente Menem e il 2015 nella bufera creata dal kirchnerismo), ora si trova nel bel mezzo della tempesta e con le spalle al muro. E senza alternative, visto che, a differenza di quando assunse la presidenza Mauricio Macri (2015) la maggioranza parlamentare sarebbe nelle mani del movimento JxC (Juntos por el cambio), la cui candidata Patricia Bullrich sta guadagnando consensi in tutto un Paese che pare (e lo sottolineo) si sia svegliato dalle magie del peronismo che lo hanno coinvolto in gran parte degli ultimi 70 anni, trasformandolo in una nazione in perenne crisi.



Ma chi è Patricia Bullrich? In un precedente articolo abbiamo già anticipato la verità sui suoi anni ’70, appartenente alla Gioventù Peronista sulla quale in questo periodo la propaganda elettorale avversaria ha richiamato lo stereotipo di una terrorista attiva del gruppo Montoneros. Ma la discendente di una delle più illustri famiglie argentine, sebbene abbia iniziato la sua carriera politica nelle file del peronismo (come molti), se ne allontanò definitivamente nel 1993 passando al Movimento “Nuova Dirigenza” di Gustavo Beliz per poi aderire all’Alianza nel 1999: questo movimento, che raggruppava anche elementi del peronismo più “avanguardista”, vinse le elezioni e “Pato” (come viene affettuosamente chiamata) venne nominata dal Presidente (il radicale De La Rua) a capo del dipartimento di Polizia Criminale e Affari Penitenziari. Nell’ottobre 2000 fu nominata ministro del Lavoro, Impiego e Formazione delle Risorse Umane.

Proprio in uno dei periodi più bui (tra i tanti) della recente storia Argentina, Bullrich si distinse per essere spesso l’unica a opporsi ai poteri che stavano minando le istituzioni: specie con le vere e proprie mafie sindacali legate al peronismo, che alimentavano manifestazioni nel bel mezzo della tempesta che poi portò l’Argentina, nel dicembre del 2001, al famoso caos che tutti conosciamo, organizzando anche assalti ai supermercati fatti apparire come atti spontanei di gente ormai economicamente distrutta dalla crisi. Che, ricordiamolo bene, fu causata da politiche che fin dal 1991 miravano a un cambio artificialmente portato in parità col dollaro dirottando sul mantenimento valutario gli ingenti aiuti del Fmi. È chiaro che un simile processo deflazionario senza vere basi economiche era destinato a esplodere in un’iperinflazione rapidissima e in una crisi gigantesca: fatto che accadde in quel famoso dicembre.

Dopo una parentesi nel partito “Coalizione Civica” fondato da Elisa Carriò, Bullrich entrò nelle file del macrismo e quando Mauricio Macri conquistò la Presidenza nel 2015 venne nominata ministro della Sicurezza: e lì si tornò a vedere di che pasta è fatta “Pato”. Ereditò un Paese con livelli di sicurezza allarmanti e frontiere che il kirchnerismo aveva trasformato in vere e proprie porte aperte ai traffici sia narco che mafiosi. Un disastro che lei e i suoi validissimi collaboratori hanno saputo invertire in pochissimo tempo con manovre finalmente intelligenti nella sicurezza, come la fusione di alcune intendenze della Polizia Federale argentina con la Polizia Metropolitana, dando vita così alla nuova Polizia della città. E anche un rafforzamento delle Forze dell’Ordine a livello generale, eventi che hanno dato frutti quasi miracolosi nell’arco di brevissimo tempo, con il controllo massiccio delle frontiere che ha portato alla scoperta di una rete sia di narcotraffico che di esseri umani in tutto il Paese. Arrivando a dare una stretta importante anche nelle Villas Miserias di Buenos Aires dove si sono scoperte una quantità industriale di laboratori per la produzione di cocaina purissima.

È ovvio che un simile atteggiamento nel falso “libertalismo” dell’epoca di Cristina Kirchner le ha provocato critiche fortissime, ma il suo pugno duro fu la diretta causa, lo ripetiamo, di una crisi disastrosa di un Paese gestito alla rovescia che proteggeva i diritti della delinquenza condannando chi la violenza l’aveva subita, considerando le organizzazioni criminali gruppi composti da persone portate allo stremo dalla povertà imposta da un capitalismo selvaggio, quindi vittime anziché carnefici, Ma bisogna dire che il peronismo ha avuto il potere nella maggior parte degli ultimi 50 anni… quindi?

Questo suo modo di agire è consono al progetto di riportare l’Argentina, mai come ora, verso una Repubblica con uno stato di diritto quasi mai vissuta in democrazia, e quindi trova nella sua logica progettualità il nucleo che possa far gradualmente uscire la nazione dal baratro in cui l’hanno sprofondata poteri populisti e corrotti come il kirchnerismo e il peronismo.

Non per niente la paura che imperversa in questi ultimi due settori politici ha svelato, in queste ultime settimane, anche come il “Beppe Grillo de nosotros” (alias Javier Milei) sia alla fine un’altra creazione fatta proprio per opporsi a Patricia Bullrich: difatti si è visto come un eventuale Governo del trionfatore delle elezioni primarie sarà composto da personaggi ancora legati ai vecchi poteri e quindi distanti da quel cambio basato sull’antipolitica radicale cui molti argentini hanno finora creduto.

Insomma, stessa minestra del 2019 e un cambio di rotta è a questo punto l’unica soluzione in grado di salvare uno dei Paesi più ricchi della Terra.

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