La lotta per diminuire la povertà in America Latina ha registrato in molti Paesi successi importanti, dovuti soprattutto alle mutate condizioni economiche di molti di essi e a una conduzione politica basata su piani di sviluppo concertati dalle varie forze presenti, in accordo sulla loro realizzazione. Ma ci sono anche nazioni ricchissime che però sono precipitate in situazioni di emergenza: tra di esse spiccano in particolare l’Argentina e il Venezuela che in comune hanno una conduzione populista (tra peronismo nella prima e chavismo nella seconda) che ne ha impedito il progresso. Seppure l’Argentina dal 2015 allo scorso dicembre abbia goduto di una Presidenza di diverso marchio (quella di Mauricio Macri) legata più a un liberalismo moderato che ad altro (prova ne sia la più grande spesa in assistenza alla povertà attraverso sussidi), i risultati sono stati catastrofici e non hanno permesso di abbassare l’indice di povertà rispetto a quello ereditato da Cristina Kirchner nel 2015: il 34%. Fenomeno dovuto anche alla sostanziale radicalizzazione di masse di indigenti nella capitale, Buenos Aires, ma anche in altre città, che hanno registrato un consistente aumento delle “villas miserias” non solo nei loro dintorni, ma pure nei quartieri più centrali delle stesse.



Il Governo della Provincia di Santa Fe (ricordiamo che l’Argentina è una Repubblica Federale e quindi ogni regione gode di indipendenza economica rispetto al potere centrale) nel 2016 decise di aderire a un progetto creato da una associazione Svizzera chiamata Es Vicis e di finanziarlo. Si tratta di un piano migratorio che ha permesso aumentare di un 10% la popolazione di Colonia Belgrano, un piccolo centro agricolo. Si è creato un flusso migratorio composto da persone e famiglie che vivevano in città in condizione di povertà estrema e disoccupate, senza possibilità di poter sviluppare le proprie attività lavorative.



In pochi anni la loro situazione è radicalmente cambiata con un inserimento nella realtà di un paese, probabilmente destinato a sparire, e un rinascita del luogo che continua a svilupparsi costantemente, dimostrando che la decentralizzazione è una soluzione ideale per combattere la povertà in Paesi che, come l’Argentina, soffrono di fenomeni di urbanizzazione notevoli. Difatti ben il 97% degli argentini vive nelle grandi città di una nazione quasi disabitata al di fuori di esse: ovvio che lo sviluppo economico costituisce un motore infallibile per combattere la miseria, ma il popolamento di aree al di fuori dei grandi centri può contribuire grandemente alla sua realizzazione. Ne abbiamo parlato con Cintia Jaime, creatrice di Es Vicis.



Come è nata l’idea di questo progetto?

Dopo aver operato vari anni in Argentina e aver conosciuto da vicino la realtà della disordinata e massiva migrazione verso Buenos Aires nella quale sorgevano villas miserias, mi sono trasferita in Svizzera, a Basilea, dove ho presentato una tesi sulla migrazione sostenibile, con un progetto che poi è stato sviluppato con Es Vicis, organizzazione che ho fondato e che si occupa di risolvere questa problematica.

Come è sorto il progetto poi sviluppato a Colonia Belgrano?

Anzitutto con l’aiuto fondamentale e il coinvolgimento economico delle autorità provinciali. Si è quindi proceduto alla scelta delle famiglie che hanno fatto parte di questo progetto pilota, nuclei che non avevano mai avuto casa, né tanto meno fondi per comprarsela in quanto non dispongono di capitali propri, oltre al fatto di risiedere nella Provincia di Santa Fe. Queste hanno partecipato poi anche fattivamente alla costruzione delle loro case e della comunità, della quale poi entravano a far parte anche con le rispettive professionalità lavorative.

Anche il ministero degli Interni del Governo Macri aveva sviluppato un piano, a livello nazionale, di distribuzione della forza lavoro attraverso le necessità delle varie Province…

Non conosco questo progetto, però il nostro parte da prospettive differenti: in primo luogo le persone che scegliamo hanno una professione specifica che può inserirsi nel tessuto sociale di General Belgrano e poi generare sviluppo e quindi assunzioni in loco, quindi accelerare lo sviluppo sociale ed economico. Il nostro progetto è diretto alle famiglie che soffrono nelle città, però dispongono al loro interno di attività che non sanno dove sviluppare perché non hanno la metodologia e la conoscenza per farlo. Per questo vengono da noi assistite sia nella formazione culturale (che dura circa 18 mesi) che nella creazione delle varie attività anche con un’associazione creata ad hoc per gestirle sempre all’interno della comunità che a questo punto diventa pure ricettiva di nuovi componenti della stessa. Lavoriamo avendo come obiettivo la trasformazione sociale, fornendo tutte le componenti per realizzarla e poi lasciando le comunità nella più assoluta libertà di svilupparsi autonomamente.

L’Europa versa in una situazione drammatica dove, in varie nazioni, paesi interi scompaiono a causa dell’emigrazione sia nelle città che all’estero. In Italia e Spagna per favorire il ripopolamento si offrono case a un solo euro: la sua organizzazione ha in progetto di sviluppare situazione anche nel Vecchio Continente o vi limitate ad affrontare la ben più drammatica realtà latinoamericana?

Il compito della nostra organizzazione è cercare di risolvere questa problematica a livello mondiale, ma abbiamo scelto l’Argentina in primis perché è il Paese dove la povertà ha raggiunto livelli grandissimi a causa delle pessime condizioni economiche. E dobbiamo dire che proprio nella peggiore delle condizioni abbiamo raggiunto risultati incredibili. Noi mettiamo la nostra esperienza al servizio di tutti i Paesi che vogliano risolvere l’enorme problema della decentralizzazione dell’emigrazione, il ripopolamento dei piccoli centri e la soluzione della povertà. Abbiamo dato voce a una problematica che nega il desiderio delle persone di trovare la soluzione ai loro drammi economici e di povertà trasferendosi in piccoli centri. Per esempio, la questione dell’offerta da parte di piccoli comuni in Europa di case a un euro la troviamo sbagliata perché il desiderio di molti che vogliono trasferirsi in luoghi scarsamente popolati si collega spesso con la volontà di un cambio radicale della propria condizione attraverso la costruzione di un’altra opportunità di vita che includa il lavoro e l’inserimento in queste piccole realtà.

(Arturo Illia)